Alla fine, è andata nella maniera più prevedibile. Il cda straordinario di Unicredit, durato quattro ore, ha discusso le dimissioni di Alessandro Profumo dalla carica di amministratore delegato e lo ha sfiduciato; inoltre il cda, col solo voto contrario della consigliera Lucrezia Reichlin ha dato incarico al presidente Dieter Rampl di pilotare il gruppo nel periodo della transizione verso un nuovo assetto manageriale e di offrire a Profumo la risoluzione consensuale del rapporto a precise condizioni, con le dimissioni contestuali entro la mezzanotte di ieri. Dimissioni che Profumo ha firmato poco prima della scadenza del termine. Le diverse modalità di uscita di Profumo hanno rilievo essenzialmente sul calcolo della sua liquidazione.
Fino alla fine del cda, la giornata era stata un susseguirsi di voci sulle dimissioni e di smentite, fino alla serata, quando alcune agenzie hanno accreditato la notizia di una conta nel cda per respingere le dimissioni. Ma erano prive di fondamento. Oltre alla Reichlin, ha sostenuto Profumo anche Salvatore Ligresti.
Nel pomeriggio, prima del cda straordinario convocato per le 18 e svoltosi fino a notte senza la presenza dell’ad, la tesi accreditata era la seguente: Profumo ha trattato la sua uscita (e la buonuscita), ha firmato la lettera di rinuncia e l’ha consegnata al presidente Rampl. L’ad aveva davanti a sé due strade: trattare, accordarsi e dimettersi, spianando la strada a una più serena discussione dei consiglieri sul futuro del gruppo; oppure andare in consiglio, porre la fiducia, e misurarsi con i voti dei consiglieri.
Nessuna conferma, e nessuna smentita veniva dagli uffici del palazzo dal quale nel primo pomeriggio Profumo se n’era andato alla chetichella, senza rilasciare alcuna dichiarazione. In effetti, le voci di contrasti in consiglio, poi rivelatesi infondate, hanno mostrato un aspetto fino a quel momento sottovalutato: il rischio di lasciare Unicredit decapitata è serio. Anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva in precedenza cercato di convincere le fondazioni a fare un passo indietro, evitando un’ardua transizione anche in un momento politico piuttosto difficile.
Sul tavolo infatti la repentina - per quanto da tempo prevista - uscita di Profumo lascia una serie di problemi non irrilevanti. Innanzitutto la successione, in mancanza di un delfino e di scelte già compiute, è davvero un’incognita senza precedenti per un gruppo di queste dimensioni. Poi, lo stesso Profumo aveva impostato da mesi una completa riorganizzazione delle attività italiane nel cosiddetto «bancone», il cui iter è cominciato ma tutt’altro che terminato. Lasciare a metà un progetto di queste dimensioni, da parte di chi l’ha ideato e ce l’ha tutto in testa, appare un rischio. È vero che la stessa riorganizzazione ha fatto parte del dossier di lamentele da parte di alcuni azionisti: ma sia che il progetto vada avanti, sia che possa essere interrotto, la decapitazione del progettista rischia di essere un danno.
La Borsa, del resto, in giornata aveva dato un giudizio non favorevole all’uscita di scena di Profumo. Con il titolo in calo di oltre il 3% per buona parte della seduta, e negativo del 2,11% in chiusura, a 1,899 euro, il messaggio è evidente: il segno sarebbe stato positivo se le dimissioni fossero state viste dal mercato come un elemento di stimolo patrimoniale.
Se la transizione è nella mani di Rampl, la successione non sarà comunque facile, per una banca in trasformazione, con problemi di redditività, molto internazionale (è presente in 22 Paesi). Ci si chiede anche se il nuovo manager sarà italiano o straniero. Ieri il gossip si è interrogato sulla buonuscita che il banchiere avrebbe trattato prima di firmare le dimissioni.
La cifra circolata - si parla di 35-40 milioni - non è stata ovviamente confermata. La moglie di Profumo, Sabina Ratti, si è limitata a dire: «È la cifra che abbiamo letto nelle indiscrezioni ma - ha aggiunto - due milioni andranno in beneficenza a Don Colmegna».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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