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È pronto il decalogo azzurro «Un futuro liberal per il Pdl»

MilanoBrunetta non c'è, Brunetta ha dato buca, che brutto tiro ci ha giocato, proprio Brunetta doveva farci questo scherzo. Aspettavano tutti lui, il ministro ammazzasinistra e stroncastatali. Alla festa del Pdl era il giorno dei ministri, sul palco ne sono saliti sette. Sono mancati all'appello Claudio Scajola e soprattutto Renato Brunetta, bloccato a Roma dalle polemiche sulle visite fiscali. La gente del Lido a Milano aspettava lui, il più popolare uomo di governo.
La sua piccola grande assenza è stata colmata da un lungo articolo pubblicato dall'Occidentale, il quotidiano on-line della Fondazione Magna Carta, firmato assieme a Daniele Capezzone. Una specie di manifesto del Pdl, una piattaforma per il futuro del partito visto dall'ala «liberal». Dove non si manda la sinistra a morire ammazzata, secondo l'auspicio di Brunetta a Cortina, ma si chiarisce che in Italia si stanno consolidando due diverse realtà. Quella «ultramaggioritaria che rischia tutti i giorni, che è legata al merito e alla trasparenza, sta sul mercato e si mette in gioco, che lavora e produce; l'Italia dei lavoratori dipendenti, delle piccole imprese, dei professionisti, dei disoccupati e sottoccupati non tutelati».
E quella «della rendita, delle corporazioni, dei fannulloni, dei garantiti, della cattiva politica, della cattiva magistratura, delle cattive banche e della cattiva finanza, della cattiva editoria, dei cattivi sindacati: l'Italia parassitaria e improduttiva» che «dispone di mezzi per farsi sovrarappresentare e accreditarsi come classe generale, come espressione e coscienza del Paese tout-court, come riferimento etico, culturale, civile della Nazione».
Mentre la festa del Pdl celebra i risultati del governo e cerca di suturare le ferite aperte dagli strappi di Gianfranco Fini, i lontani Brunetta e Capezzone introducono una prospettiva più ampia. Niente più spaccature tra destra e sinistra, fine delle ideologie, ma un Paese diviso tra partito del lavoro e partito della rendita, tra chi difende il merito e chi i privilegi, tra gli innovatori e la casta erede del '68. Ceti produttivi contro ceti parassitari, riformisti contro tifosi dello status quo, «uno schieramento popolare e interclassista contro una élite autoreferenziale con scarsi ancoraggi nell'Italia reale».
Così «l'offerta politica» del Pdl deve puntare sulla realizzazione del federalismo fiscale, un grande Piano per il Sud per completare le grandi opere, una politica estera capace di rilanciare la nostra economia, la detassazione dei contratti aziendali, la ripresa delle liberalizzazioni, maggiore concorrenza tra pubblico e privato nei settori dell'istruzione e della sanità, un nuovo assetto istituzionale. Il Pdl è «un grande partito moderno e post-ideologico» dove «nessuno è esposto al rischio di perdere qualcosa della propria identità, delle radici e delle matrici culturali e politiche a cui è legato».
Temi impegnativi, impostazioni generali che volano alte sul popolo del Lido. I ministri illustrano e difendono ciascuno il proprio operato, mentre il presidente del Senato Renato Schifani parla di «semplificazione del quadro politico», auspica le riforme istituzionali nonostante il «clima avvelenato» e boccia il governo istituzionale. E tutti si profondono a garantire che nel Pdl tutto fila liscio. Uno per tutti, il ministro Altero Matteoli, ex Alleanza nazionale: «Mai governo è stato coeso come questo. Con la Lega tutto va alla perfezione. Alle prossime elezioni regionali raccoglieremo i frutti di questa unità».
Tuttavia ieri gli applausi maggiori ha rischiato di prenderli non chi ha affrontato i temi della «politica politicante» ma l'unico dei presenti non pidiellino, cioè «l'italianissimo Maroni» (presentazione di La Russa), il ministro leghista che ha rivendicato i successi nella lotta alla mafia e alla immigrazione clandestina. In un improvvisato talk-show condotto dall'onorevole Laura Ravetto nell'attesa che arrivasse Schifani, dalla platea sono arrivate domande su scuola, pensioni, lavoro. È la vita di tutti i giorni che irrompe sotto i tendoni del partito di Silvio Berlusconi, prima che la scena venga monopolizzata da un'elegante e affollata serata di gala con la premiazione delle «Eccellenze d'Italia».
L'altro nervo scoperto del popolo di centrodestra è l'informazione. Ogni volta che capita di nominare Santoro o Travaglio, ogni accenno a Di Pietro o a Repubblica solleva un'ondata di fischi. Al direttore del Tg1 Augusto Minzolini e al vice di Raidue Gigi Paragone vengono chiesti autografi e foto.

«È questo il vero specchio del Paese - dice Minzolini - non quello deformato da chi parla di libertà di stampa a rischio».

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