Proposta indecente

La proposta indecente dei rapitori di Gabriele Torsello di scambiarlo con Abdul Rahman, l’'afghano condannato a morte perché convertito al cristianesimo e portato in Italia a marzo, che dovrebbe rientrare a Kabul per affrontare il boia, ci ricorda ancora una volta che cosa implichi quel divorzio fra fede e ragione che ha colpito l’islam come una malattia a partire dalla fine del XII secolo, e che - come ha ricordato il Papa a Ratisbona - conduce al matrimonio fra fede e violenza. Una fede che non si è separata dalla ragione è una fede cui ci si converte perché convinti da argomenti che, se non si riducono alla pura ragione, partono però da questa e non sono irragionevoli. Domani, altri argomenti potranno indurre a cambiare idea. Il diritto di cambiare religione è parte integrante non solo della libertà religiosa ma della civiltà occidentale.
L’islam - lo afferma un manuale pubblicato dai «moderati» musulmani britannici - è una religione in cui si entra (o meglio si ritorna, perché tutti gli uomini nascono musulmani ancorché l'educazione che ricevono possa sviarli da questa comune origine) ma da dove non si esce. Musulmano una volta, musulmano per sempre. Non esistono per l'islam ex-musulmani; esistono apostati, diversamente trattati secondo le scuole giuridiche ma per cui la maggioranza dei giuristi musulmani prevede la pena di morte. Alcuni Paesi, è vero, l’hanno formalmente abolita: così il Marocco con il re Hassan II, che volle offrirne l'eliminazione dal diritto marocchino all'amico Giovanni Paolo II. Ma anche quest'abolizione non è totale, perché garantisce all'apostata solo che sfuggirà all'arresto e al tribunale. Ma, secondo i dottori della legge più rigoristi, qualunque musulmano può giustiziare l'apostata: se è un membro della sua famiglia si tratta di un dovere, e per chiunque è comunque un'azione lodevole che fa acquistare meriti spirituali. Accade così che, nei Paesi dove l'apostata non è più arrestato e trascinato davanti ai tribunali, sia semplicemente scannato in famiglia o per strada. Chi lo fa commette un reato: ma con poche eccezioni - fra cui quella recente della Turchia - la legge dei Paesi musulmani contempla il «delitto d'onore», per cui non solo il padre che uccide chi ha disonorato la figlia ma anche il credente che uccide chi ha tradito la religione apostatando riceve dai giudici pene mitissime.
Il fatto che dall'islam non si possa uscire non è una semplice caratteristica curiosa ed esotica di una religione fra le altre. La pena di morte inflitta all'apostata conferma che - nella sua configurazione attuale maggioritaria in molti Paesi - quella islamica è una fede che ha consapevolmente e orgogliosamente divorziato dalla ragione, e priva il suo fedele del diritto di vagliarne con il ragionamento i precetti, il che comporterebbe logicamente la possibilità di mutare parere, convincersi che non sono veri o che altri - per esempio quelli cristiani - sono migliori, e cambiare religione. Il Papa aveva ragione. Una religione simile, sempre nella sua versione rigorosa che domina però vaste regioni ed è più diffusa di quanto si creda anche nell'immigrazione, è molto difficile da assimilare e far convivere con i valori costituzionali delle democrazie occidentali.

Questo dovrebbe rendere cauti i fautori delle rapide concessioni di cittadinanza e delle facili costruzioni di moschee, che quasi sempre non sono semplici ruoli di culto ma centri dove si rende una giustizia parallela e si organizza una politica che questo islam non distingue dalla religione.

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