La notizia è questa: «Con infinita gioia Gigi e Alena annunciano un lieto evento: la nascita del loro primogenito Louis Thomas». Felicitazioni, dunque, ma sorge intanto anche una domanda: dovremmo far loro pure i complimenti? Perché, per carità, in casa Buffon-Seredova è un dì di festa, e poi va bene - c’è pure l’attenuante - lei è slovacca e dunque svariare si può. Ma poi si scopre che Thomas è in onore del portiere camerunense N’Kono. E quindi, appunto: è possibile che oggi se nasci figlio di calciatore non ti puoi chiamare - chessò - Mario o magari - perché no - Ugo?
Io, che ho dato ai miei figli i nomi Nicolò e Mattia, mi sento comunque un po’ plebeo e forse dovrei chiedere scusa a mia moglie per averla convinta del contrario: «Sai, sono nomi belli e anche un po’ originali...». E invece dovevo pensarci prima: dove c’è un Vip c’è di più. Pensate alla piccola Totti, sì, proprio lei, Chanel (Scianelle per chi legge da Trastevere), ribattezzata subito «numero 7» dai laziali in memoria del giorno sportivamente tragico di Manchester. Oppure a Tobias Del Piero, giusto una lettera in più del normale per rimarcare di essere speciale. O ancora a Daniel Maldini o Gabriela Gattuso - qui c’è qualcosa in meno ma tanto in casa non manca nulla - o, di più, a Swami Miccoli. Eppoi - per volare più alto e oltremare - alla figlia del giocatore del Chelsea Luna Coco Patricia Lampard e al mitico Brooklyn Beckham che, diciamolo, ha quantomeno avuto un’immensa fortuna: metti che i suoi genitori si fossero dati il primo bacio a Castellammare di Stabia... Proposta: se organizzassimo una class action dei figli del pallone?
La mania del nome nobile o nobilitato dunque impazza, roba da copertine dei giornali in un calcio dove l’apparire a volte conta più dell’essere. Anche se, in effetti, non si può dare tutta la colpa ai calciatori, loro sì protagonisti, ma mai come certi tifosi che stanno loro intorno. Se è vero infatti che il papà di Astutillo Malgioglio forse sapeva già che un giorno il suo pargolo avrebbe fatto il portiere o anche che uno dei precursori fu Beccalossi Evaristo, quello che (scusate se insisto) 26 anni fa chiamò la figlia Nagaja dopo aver scartato l’altrettanto (fate voi per l’aggettivo) Zuleika, è anche vero che un illustre collega di questo Giornale - lo stesso che ha passato l’ora e trequarti dell’ultimo derby a fare shopping ma solo perché sta cercando (parole sue) di «disintossicarsi» - ha confessato (ma no, signora, si fa per scherzare...) di aver chiamato i figli in onore dei suoi idoli nerazzurri. Possibile?
E che dire allora di quel brasiliano, oggi 37enne, che di nome fa Jagetoperi in onore dei cinque d’attacco - Jairzinho, Gerson, Tostão, Pelé e Rivelino (chi può ci pensi con la voce di Nando Martellini) - che nel 1970 schiantarono l’Italia nella finale mondiale dell’Azteca? O di quel bulgaro che si è cambiato il nome per chiamarsi Manchester United? Già, follie.
Che oggi però i calciatori moderni hanno assimilato e senza frontiere, senza però arrivare al campione del mondo della specialità, il capitano della nazionale cinese Zheng Zhi, che ha deciso di dare al primo (e da quelle parti unico) figlio un nome da anno Duemila: «@». Chiocciola, insomma, oppure «at» come si dice all’inglese, un indirizzo mail che per ’sto figlio di Zhi è assolutamente normale: «È al passo coi tempi», ha detto orgoglioso il papà.
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