Ricorrere all'orgoglio di partito, convincersi di essere le vittime di un'aggressione al punto da gridare allo spionaggio e arroccarsi dietro all'argomento dell'imminente sfida elettorale sono stati i puntelli della linea con cui Piero Fassino e Massimo D'Alema si sono presentati al parlamentino della Quercia. Hanno ottenuto l'unanimità, annunciando una riflessione sugli errori compiuti in quella che pudicamente è stata definita una sovraesposizione nell'affaire Unipol, ma non hanno cominciato ad entrare davvero nel merito del problema del loro rapporto con la finanza cooperativa e più in generale con i poteri economici. E quindi della fine del loro complesso di superiorità morale.
È difficile dire se sono riusciti a convincere qualcuno che quella frase pronunciata nella conversazione telefonica con Consorte era una neutrale richiesta di informazioni. Certo, non è una prova di forza gridare al furto in un'epoca in cui la fiducia nell'azione politica richiede in primo luogo trasparenza, tanto più da parte di chi ha brandito la questione morale con martellante ossessione. Sarebbe stato meglio ammettere - e le leadership guadagnano credibilità quando lo fanno - che era una frase sbagliata e spiegarne il perché. Ma in quella cultura c'è l'idea fissa di essere sempre nel giusto e di aspettare almeno vent'anni prima di riconoscere gli errori. E così hanno affrontato la tempesta in cui si sono trovati appigliandosi più all'istinto di sopravvivenza che alla ricerca di una lucida via di uscita.
La scelta del trinceramento può offrire dei vantaggi immediati, ma comporta dei rischi. Il primo è quello di non vedere la propria debolezza, di illudersi di aver superato la prova, dichiarando a se stessi di aver sciolto il groviglio, mentre invece i problemi di fondo restano tutti aperti.
Il secondo rischio ne è una conseguenza: è vero che gli alleati dell'Unione hanno compiuto una conversione ad U, è vero che dopo aver preso le distanze e usato anche toni duri non hanno lesinato sostegno e solidarietà, nella consapevolezza di essere sulla stessa barca. Ma l'arroccamento e la pretesa di aver superato le difficoltà si trasformano facilmente in zavorra. Ne vedremo presto i riflessi sulla coalizione di centrosinistra, già alle prese con strappi su punti-chiave del programma. Non sono del resto mancati gli avvertimenti espliciti ai partner a non sperare di cannibalizzare i ds. Ma una lotta per la sopravvivenza, impostata con toni così aspri, in cui la polemica con la Casa delle libertà spesso è sembrata rivolta agli alleati, può provocare contraccolpi negativi sull'intero sistema, può avere un effetto di contagio, può scaricare su tutti un problema che riguarda un solo soggetto.
Il terzo rischio è quello di rinviare soltanto il pagamento del prezzo: non mi riferisco in questo caso solo al consenso elettorale, anche se l'allarme è scattato subito nel vertice ds, ma più in generale ai metodi, alle pratiche e alle visioni che hanno portato all'intreccio così stretto tra un partito e una parte del mondo finanziario, con tutte le storture visibili e sotterranee sull'insieme del tessuto democratico. Soprattutto se questo partito è forza dominante nell'amministrazione di gran parte dei poteri regionali e locali e aspira ad esserlo anche nel governo del Paese. Il consenso elettorale riguarda solo la Quercia, il problema più generale è il prezzo che pagherebbe l'Italia.
L'assemblea ds di ieri è sembrata più un esorcismo che un gesto di trasparenza. E nello stesso tempo è suonata come un'ulteriore prova dell'incapacità della maggior componente della sinistra di fare i conti con i propri errori.
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