Forse le pagine più sorprendenti del libro che Silvino Gonzato dedica a La tempestosa vita di capitan Salgari (Neri Pozza, pagg. 253, euro 16) sono le ultime. Questa bella biografia è larricchimento e laggiornamento di unaltra che lo stesso autore aveva pubblicato una quindicina danni or sono con il titolo Emilio Salgari, demoni amori e tragedie di un capitano che navigò solo con la fantasia. Ma a conclusione del nuovo volume, come il precedente affascinante e angosciante, cè unattenta bibliografia curata da Vittorio Sarti. Lo scorrerla dà le vertigini. Davvero quelluomo morto suicida a meno di cinquantanni e daspetto non attraente - in contrasto con certi robustoni da lui ideati - fu uno straordinario forzato della penna. La selva delle avventure da lui immaginate, a firma propria o con pseudonimi, è rigogliosa e sterminata. Scelgo a caso: oltre alle pagine famose (I pirati della Malesia, Il corsaro nero, Le tigri di Mompracem, Sandokan alla riscossa) anche scorrerie spavalde tra I predoni del Sahara, Le pantere di Algeri, I misteri della jungla nera, I naufragatori dellOregon.
Narratore di tremende esperienze esotiche, questo geniale affabulatore aveva viaggiato solo con limmaginazione. O piuttosto aveva vagabondato davvero, ma dalla natia Verona a Genova e a Torino, e per via dei numerosi traslochi. Intervistato, spiegò una volta: «ho studiato poco e ho viaggiato molto, arrivando fino allo stretto di Bering... In un viaggio stetti sei mesi in navigazione con una sola breve fermata a Ceylon, perché crivellato dai rosicanti». Unaltra volta disse allArena, il quotidiano della sua città, «dessere stato a Massaua, e di essersi inoltre frammischiato agli adoratori di Buddha a Ceylon». A tale Corbò, che viveva in Egitto, inviò impavido queste righe: «Fortunato voi che vivete sulle rive duno dei più maestosi fiumi del mondo... La prima volta che ho veduto scorrere quellimponente massa dacqua... non ho potuto fare a meno di togliermi il cappello». LAdige e il Po laiutavano a immaginare. «Quando sciorinava baggianate - commentò uno che lo conosceva bene - i suoi occhi ridevano».
Con sottile intuito Silvino Gonzato, che per il suo biografato ha un affetto di veronese a veronese, ricorda che tanti ritenevano Salgari un visionario e un mentitore. «Non poteva essere un visionario chi aveva scambiato la fantasia con la realtà, e non poteva essere un bugiardo chi raccontava lunico mondo in cui poteva vivere e in cui i suoi gradi di capitano di gran cabotaggio rilucevano come stelle». Fuori da quel mondo magico ce nera un altro, fatto di dolori e di meschinità. La moglie Ida - da lui ribattezzata Aida - gli fu di sostegno, ma poi una grave malattia mentale la colpì. Era, Salgari, un predestinato a essere randagio, alla bohème, anche se i suoi popolarissimi romanzi si vendevano come il pane e rendevano cifre notevoli. Beveva molto, ed era molto infelice, nonostante gli sprazzi deuforia. Il 22 aprile 1911 linfaticabile scrittore prese la penna per congedarsi dalla vita. «Sono ormai un vinto. La pazzia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie» recava il messaggio per i quattro figli. E agli editori: «A voi che vi siete arricchiti sulla mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria... chiedo solo che pensiate ai miei funerali». Il 25 aprile il capitano raggiunse un bosco, si sdraiò in un incavo del terreno «e con un rasoio, con furia spaventosa, si colpì ripetutamente alladdome e alla gola».
Non ebbe pace, povero capitano, nemmeno nella tomba.
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