Politica

PUBBLICHE O PRIVATE MA NON CORANICHE

«Evviva le scuole private» scassandreggiai qualche anno fa su questo giornale, «anche se significherà soprattutto scuole cattoliche. Il vero problema però diventeranno quelle islamiche». Si trattava di una previsione facile, essendo già chiaro che il terrorismo e la lotta ai suoi «Stati canaglia» avrebbero reso sempre più faticosa la complessa integrazione fra la nostra cultura e quella musulmana. Cinquanta scuole islamiche in realtà non sarebbero un problema, se la loro definizione più corretta non fosse - è bene imparare a chiamarle così - «coraniche», proprio come chiamiamo «cattoliche» quelle che si ispirano ai principi e alla fede di Santa Romana Chiesa. La differenza però è ben più che religiosa perché quelle cattoliche - grazie a secoli di lotta laica - danno a Cesare quel che è di Cesare, mentre nelle scuole coraniche tutto è di Dio, e dal Corano devono derivare le leggi degli Stati. È vero che lo scambio fra culture diverse è da sempre uno strumento di progresso: confrontandosi e interagendo l'una con l'altra, la somma di esperienze, tradizioni e caratteristiche che chiamiano «cultura» può arricchire i diversi gruppi. Ma se la scuola e la cultura italiane agevolano questo scambio, tutt'altro avviene nelle scuole coraniche: più o meno fanatizzato, il loro insegnamento non può essere quello di integrazione o tolleranza nei confronti dello Stato ospite (e quindi della sua popolazione), ma di sopportazione e contrasto, finché non abbia accettato le verità musulmane. Si contravviene così al principio elementare per cui devono essere le minoranze appena giunte a integrarsi con i padroni di casa, e non viceversa.
L'Italia - nonostante lingua, religione e storia in gran parte comuni - si è unificata, prima che con ideali, con la forza dello Stato più potente, quello sabaudo. Per renderci davvero un Popolo sono stati necessari quasi un secolo e mezzo di storia comune, due guerre mondiali, il fascismo, la televisione e la democrazia.
Non bastano dunque i begli ideali - né tanto meno il buonismo di maniera che chiamerei piuttosto buonaccionismo - per una integrazione che, per essere buona per tutti, deve prima di tutto essere buona per la stragrande maggioranza. Tanto più che nelle associazioni scolastico-religiose nate intorno alle moschee si stanno sempre più infiltrando gli estremisti musulmani, per non dire i terroristi, e l'espulsione dell'«imam di Torino», grazie a una nuova legge, sta lì a dimostrarlo. Nel caso delle scuole coraniche non occorrono neppure nuove leggi: c'è già quella fondamentale dello Stato, la Costituzione, per cui «le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano». Una scuola coranica fa parte di una confessione religiosa. Si tratta di vedere quanto del suo insegnamento contrasti con le nostre leggi, per esempio a proposito di diritto familiare, e agire di conseguenza.
Per quanto a un liberale geli il sangue solo a sentir parlare di «buone» leggi restrittive delle libertà individuali, bisogna pur prendere atto che il conflitto - non solo quello armato - fra mondo occidentale e islamico si sta allargando e che quasi tutti i segnali non promettono miglioramenti, anzi.

Per questo bisogna aiutare (o forzare) le scuole coraniche a diventare scuole private o pubbliche, dove si dia sì rilevanza, per chi lo vuole, all'arabo e alla cultura religiosa islamica, ma nel rispetto dello Stato laico e dei suoi cittadini.

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