di Massimo Bertarelli
Incredibile ma vero, da un giovedì allaltro, Annozero ha perso per strada soltanto un milione di affezionati. Incredibile, perché lultima puntata, dopo i primi venti minuti dedicati, tanto per cambiare, a sbeffeggiare Berlusconi, era tutta incentrata sulla mafia. Argomento che in tv fa boom quando in prima linea si materializzano Gabriel Garko e Raoul Bova, non, con tutto il rispetto, Antonio Di Pietro e Niccolò Ghedini, due personaggi, per dirla col Cavaliere, più telegenici che sintetici. Vero, perché lo sostengono le cifre ufficiali: giovedì sera a sorbirsi Santoro&Vauro cerano 5 milioni e 844mila spettatori con uno share del 23,32 per cento.
Tanto per rinfrescare la memoria ai distratti, la settimana prima il pubblico si era assestato attorno ai sette milioni, con uno share superiore di quattro punti. Lo share non bara, giurano gli esperti, e non cè da dubitarne, anche se negli anni nessuno è mai riuscito a calcolare quanti di quei fantasmi senza nome siano effettivamente seduti davanti alla tv e quanti invece siano in bagno o in cucina col televisore acceso. Tanto meno nessuno ha mai stabilito la percentuale della gente assopita sul divano, in coma più o meno vigile.
Pazienza. Ci si arriverà prima o poi. Resta il fatto che la trasmissione è stata di una noia mortale, soporifera come poche e contorta come nessuna. Nellinfinita galleria di uomini e date, che si accavallavano sovrapponendosi gli uni alle altre, peggio di Alfano e della Bindi a Porta a porta, cera davvero da perdere la trebisonda. Pericolo comunque inferiore alla lussazione, da sbadiglio, delle mascelle. Il pentito Spatuzza, tale Scarantino che fece saltare una 126 col tritolo, il capitano Di Donno dei Ros, per tacere di decine e decine di figuranti dalla dubbia reputazione e dalla fama passeggera, noti soltanto ai più scafati cronisti di giudiziaria, avvezzi a scartabellare mattinali dei carabinieri e polverosi atti di tribunale. Manco nelle più aggrovigliate fiction similPiovra cè un tale andirivieni di caratteristi inutili, il cui volto ti rimane impresso soltanto fino alla scena successiva.
Lo zelante Sandro Ruotolo, immusonito replicante coi baffoni di Santoro, è maestro nel dare rilievo ai più infimi questuanti di notorietà. Sempre pronti, come laltra sera, a svelare trame oscure e irrilevanti, destinate a sciogliersi come la neve, senza bisogno di sole, alla fastidiosa prova dei fatti. Che barba, peggio dei baffi. Come se alla Grande Storia di Raitre, in una puntata dedicata a Garibaldi venissero citati, uno per uno, tutti i Mille: Agostini, Amicarelli, Arcangeli, Arcovacci, Ardenzi, Astolfi, Azzimonti, Bacelli, Bavaresi fino a Zucchetti e Zuliani. Magari con le relative zie e cugine. Sai che gaudio, che goduria per lo spettatore.
Eppure Giuseppe Giulietti, attuale portavoce di Articolo 21 e ex fidanzato di Lilli Gruber, è rimasto estasiato dalla «straordinaria pagina di tv che ci hanno regalato, dimostrando cosa possa e debba essere un servizio pubblico, capace di offrire elementi di conoscenza e di luce anche dove cè il dominio delloscurità e dellomertà». Perbacco. Ovvio il pollice verso dellaltra sponda, per bocca di Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo economico: una puntata «terribile, inguardabile, non degna del servizio pubblico» con «testimoni e documenti inaffidabili che hanno come tesi che il nostro premier è un mafioso».
«Io preferisco sempre il racconto che fa Sandro» ha chiosato in chiusura un don Michele ancora sorprendentemente arzillo, nonostante il gran vociare su agende, papelli, confessioni, lettere e documenti affini. Mah. A mettere definitivamente ko gli spettatori superstiti ci ha pensato Di Pietro con la più atroce minaccia: «Dobbiamo fare unaltra trasmissione di Annozero, per raccontare il secondo tempo». Peggio del professor Guidobaldo Maria Riccardelli quando convoca al cineforum Fantozzi e Filini per la millesima proiezione della Corazzata Potëmkin. Intanto Santoro, dopo averlo preventivamente zittito: «Voi non dovete applaudire», si è complimentato ripetutamente con il circondario: «Che bravo il mio pubblico.
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