Amiche carissime, cari amici,
la sera del 2 dicembre 2006, in piazza San Giovanni a Roma, di fronte ai due milioni di italiani che per la prima volta, contro il governo delle sinistre e delle tasse, sventolavano insieme le bandiere di Forza Italia, di Alleanza nazionale e degli altri partiti moderati che, come noi, si riconoscono nei principi e nei valori della libertà mi vennero spontanee queste parole «Chi crede nella libertà non è mai solo». Le stesse parole le ripeto oggi qui per celebrare con voi l'avverarsi di un grande sogno: la nascita ufficiale del «Popolo della Libertà», un movimento che in realtà è già nato, è già cresciuto, è già forte, è già vincente (...).
Oggi i sondaggi ci danno al 43 per cento. Puntiamo al 51 per cento. Sappiamo come arrivarci, sono sicuro che ci arriveremo. (...) Grazie a una legge elettorale voluta da noi e ingiustamente denigrata dalla sinistra, il 70 per cento degli italiani ha votato per due soli partiti, il Partito della libertà e il Partito democratico.
Il nome
Abbiamo deciso di chiamarci Popolo della libertà. Lo abbiamo deciso (...) dopo aver chiesto alla nostra gente (...) di indicarci se volessero essere un «popolo» oppure un «partito», se volessero chiamarsi Popolo della libertà o Partito della libertà. (...) E la scelta ci ha dato a grandissima maggioranza questa precisa indicazione: dovevamo essere un «popolo», prima ancora che un «partito»: il Popolo della libertà. (...) Ma il riferimento al popolo, termine così abusato dalla sinistra, ci riporta invece nel solco più ortodosso, più puro delle democrazie occidentali. Nel 1787 Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, George Washington e gli altri padri fondatori degli Stati Uniti d'America vollero iniziare con queste parole la loro Costituzione, che era al tempo stesso una dichiarazione d'indipendenza e di libertà: «Noi, il popolo degli Stati Uniti». Anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata in Francia nel 1789 pose al suo centro il popolo attraverso quattro principi: la libertà della persona, il diritto «inviolabile e sacro» alla proprietà, la sicurezza, la resistenza all'oppressione. In Italia, negli anni tumultuosi del primo dopoguerra, don Luigi Sturzo fondò il Partito che chiamò Partito popolare. Ancora una volta al «popolo» veniva demandato di superare gli steccati ideologici e di classe. Quanta lungimiranza vediamo ora in quella scelta, che fu ripresa nel dopoguerra da Alcide De Gasperi e che si è poi trasfusa intatta nel Partito del Popolo europeo, la grande famiglia della democrazia e della libertà in Europa, la naturale famiglia del Popolo della libertà.
Popolo dunque ma anche «Libertà». (...) I cittadini devono essere al servizio dello Stato, perché per la sinistra lo Stato è quasi un moloch, una divinità. Ma attenzione: ha solo le sembianze di una divinità, perché in realtà è potere, è l'esercizio del potere e dell'oligarchia. (...)
Il credo
A questa concezione della sinistra noi contrapponiamo la nostra filosofia della libertà, la nostra «religione» della libertà. Di comune accordo, tutti i movimenti che confluiscono nel Popolo della Libertà hanno scelto come «Carta dei valori» il Manifesto del Partito del Popolo europeo che anche noi abbiamo contribuito a definire. (...) Noi crediamo nella libertà, in tutte le sue forme, molteplici e vitali: nella libertà di pensiero e di opinione, nella libertà di espressione, nella libertà di culto, di tutti i culti, nella libertà di associazione. Crediamo nella libertà di impresa, nella libertà di mercato, che deve essere regolata da norme certe, chiare e uguali per tutti. (...) Crediamo che lo Stato debba essere al servizio dei cittadini, e non i cittadini al servizio dello Stato. Crediamo che lo Stato debba essere il servitore del cittadino e non il cittadino sottomesso allo Stato. Per questo crediamo nella centralità dell'individuo e riteniamo che ciascuno debba avere il diritto di realizzare se stesso, di aspirare al benessere e alla felicità, di costruire con le proprie mani il proprio futuro, di poter educare i figli liberamente. Per questo crediamo nella famiglia, che è il nucleo fondamentale della nostra società. E crediamo anche nell'impresa, a cui è demandato il grande valore sociale della creazione di lavoro, di benessere e di ricchezza. Noi crediamo nei valori della nostra tradizione cristiana, nel valore irrinunciabile della vita, del bene comune, nel valore irrinunciabile della libertà di educazione e di apprendimento, nei valori irrinunciabili della pace, della solidarietà, della giustizia, della tolleranza, verso tutti, a cominciare dagli avversari. E crediamo soprattutto nel rispetto e nell'amore verso chi è più debole, primi fra tutti i malati, i bambini, gli anziani, gli emarginati.
Vogliamo vivere in un Paese moderno dove siano valori sentiti e condivisi la generosità, l'altruismo, la dedizione, la passione e l'amore per la propria famiglia, per il proprio lavoro, per la propria Patria. Popolo e Libertà. Dunque, il Popolo della libertà. (...)
La missione
(...) Consentitemi di rivendicare un altro motivo di orgoglio. La nascita del Popolo della libertà colma quella che molti studiosi hanno individuato come una lacuna nel percorso storico dell'Italia. L'Italia, si è spesso detto, non ha mai avuto - a differenza della Francia, degli Stati Uniti, dell'Inghilterra - una vera e autentica rivoluzione liberale. E questo, si è aggiunto, è stato tra le cause «prima» dell'affermarsi di pulsioni totalitarie a sinistra come a destra, «poi» del cattivo rapporto tra cittadino e Stato. Una democrazia in qualche maniera incompiuta. Oggi noi abbiamo l'ambizione di colmare questo vuoto. (...) Dio sa quanto il Paese ne abbia bisogno.
Il cammino
Il percorso verso questo nostro Popolo della libertà è stato fin dall'inizio definito in un clima di grande concordia. Direi di più: in un clima di armonia, espressione che a tutti noi ricorda Pinuccio Tatarella, uno dei primi a condividere l'aspirazione ad un grande partito unitario dei moderati, di tutti gli italiani che non si riconoscono nella sinistra. Di più. Questa vocazione maggioritaria era già presente nel momento in cui invitai a votare alle elezioni di Roma del '93 per Gianfranco Fini e non per Rutelli (...). Intuizione che trovò attuazione pratica in tre passaggi fondamentali: il 26 gennaio 1994, giorno in cui nacque Forza Italia; sempre in quel gennaio '94, quando i dirigenti del Movimento sociale italiano iniziarono a discutere di Alleanza nazionale; e poi con il congresso di Fiuggi del 27 gennaio 1995, quando Fini diede vita ad Allenaza nazionale. (...) Che seppe allora chiudere coraggiosamente con un passato che la destinava ad essere minoranza, e si aprì ad un futuro di moderna forza di governo pienamente legittimata sulla scena italiana ed europea. Gli osservatori più banali coniarono il termine di «sdoganamento» della destra. Una visione davvero riduttiva, un termine inaccettabile perché - come ha già detto anche Gianfranco - non si applica alle idee, soprattutto alle idee giuste, che sanno imporsi da sole. Per questo desidero rivolgere a Gianfranco un ringraziamento e un saluto affettuoso perché anteponendo l'interesse dell'Italia a quello personale ha contribuito in modo decisivo a scrivere insieme a noi questa pagina di storia.
(...) Ringrazio Stefania Craxi, figlia e degna erede politica di un mio carissimo amico, Bettino Craxi, che ebbe, tra gli altri, un grande merito: fu il primo presidente del Consiglio a rivolgersi nel Parlamento ai banchi della destra garantendo che il partito della destra sarebbe stato trattato alla pari di tutti gli altri partiti democratici superando così l'idea che la vera Costituzione italiana fosse l'accordo tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Fu così che egli decretò nei fatti la fine del cosiddetto «arco costituzionale».
Lalleato
(...) Era assolutamente necessario ritrovare il sentimento di «Italia come Patria» anche nel Nord, per poter dare ai problemi posti dalla Lega una risposta che evitasse ogni tentazione separatista. Offrimmo allora a Bossi una via che tenesse conto e accogliesse il sentimento del Nord ed evitasse i danni di un confronto senza mediazione politica tra la Lega e lo Stato. Come su un altro terreno Gianfranco Fini, anche Bossi si rivelò un vero leader, un leader coraggioso e lungimirante. Ed anche a lui inviamo un caldo abbraccio ed un grande applauso.
Sono stati 15 anni nei quali, come ho detto, abbiamo conosciuto stagioni di governo e di opposizione; ma in tutto questo tempo - lo dico con orgoglio - il centrodestra è sempre stato maggioranza nel Paese. Un'avventura entusiasmante e (...) vittoriosa.
Gli avversari
(...) La sinistra, uscita quasi indenne dalla tempesta politico-giudiziaria del '92-'93, e risparmiata in modo «chirurgico» dalle inchieste della magistratura militante, è entrata in quel periodo da trionfatrice tra le macerie della Prima Repubblica, come l'Armata Rossa entrò tra i palazzi diroccati di Varsavia e di Berlino (...). Nel '94 il Pci si era da poco trasformato in Pds, mantenendo intatti del Partito comunista, la struttura, l'intero gruppo dirigente, il centralismo democratico, ed anche la falce e il martello. Ma soprattutto non rinnegando nulla di quelle idee condannate per sempre dalla storia - eppure il Muro di Berlino era stato abbattuto nell'89 - e ritenendo che per reinventarsi bastasse semplicemente sostituire una parola: «democratici» al posto di «comunisti». Un inganno che si è ripetuto e si ripeterà spesso. Unica novità, il venir meno dei finanziamenti illeciti dall'Unione sovietica ormai scomparsa. La sinistra era convinta di «dover» andare al governo, di avere il diritto di governare. Ma la «gioiosa macchina da guerra», guidata nel 1994 da Achille Occhetto contro il sottoscritto, fallì l'impresa. Da allora, in questi quindici anni (...) la sinistra non è mai mutata. (...) Per descrivere la sinistra, non trovo parole più chiare ed efficaci di quelle che pronunciai il giorno della mia discesa in campo.
Dissi: «Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell'iniziativa privata, non credono nell'individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l'apporto libero di tante persone tutte diverse l'una dall'altra. Non sono cambiati. (...) Vorrebbero trasformare il Paese in una piazza urlante, che grida, che inveisce, che condanna. Per questo siamo stati costretti a contrapporci a loro». (...) Mentre noi andavamo avanti, loro andavano indietro. La destra italiana si è rinnovata, loro hanno fatto soltanto finta di farlo.
Così dopo la «gioiosa macchina da guerra» è venuto il ribaltone, e poi l'Ulivo, e quindi l'Unione, dopo ancora il Partito Democratico, ed oggi si assiste nuovamente ad un ritorno al passato, al tentativo di recuperare tutte le sinistre, al recupero del sindacato più conservatore e di tutti gli antagonismi. Un carosello di trasformismi e di autentici trasformisti. Ad ogni invenzione botanica, prima la Quercia, poi l'Ulivo poi la Margherita, i consensi della sinistra sono andati via via riducendosi, e ancora di più si è ridotta la loro credibilità nel Paese.
(...) Mentre noi eravamo impegnati nel fare, loro monopolizzavano i talk show. E li monopolizzano tuttora. (...) Poi, improvvisamente e quasi miracolosamente, nel giugno del 2007 Walter Veltroni annunciò di voler cambiare. Si è trattato dell'ultima finzione o perlomeno dell'ultimo improbabile azzardo. (...) Ma è bastato un attimo perché anche quel bluff si disvelasse. Perché il Partito democratico (...) trasformasse da tattica in strategica la sua alleanza con l'estremismo giudiziario da una parte, e con l'estremismo ed il conservatorismo sindacale dall'altra. Perché insomma si ritornasse al passato e agli antichi rituali. Ed oggi a che cosa assistiamo? Il segretario sconfitto se ne va, ed il suo vice - che fino al giorno prima ne aveva condiviso ogni scelta - subito ne rinnega la linea in un disperato quanto inutile tentativo di salvare il salvabile. (...) Oggi la parola «moderati», ma diciamo pure la parola «centrodestra», rappresenta un patrimonio e una ricchezza. Una ricchezza che si è rivalutata ed è destinata a rivalutarsi sempre più nel tempo. (...) Eppure, nonostante tutto, una sinistra riformista ed una opposizione moderna sarebbero indispensabili anche in Italia. Per questo noi siamo qui ad aspettarli. (...) Lo facciamo, soprattutto, perché abbiamo promesso solennemente di governare anche per quegli italiani che non la pensano come noi; e noi le promesse le manteniamo, tutte e sempre. Lo facciamo anche perché non rimanga inascoltato, almeno da parte nostra, l'incoraggiamento che il 28 maggio 2008 ci venne da Papa Benedetto XVI, al quale va il nostro affettuoso saluto. (...) Egli parlò di «segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo» e di «diffuso desiderio di riprendere il cammino, di affrontare e risolvere insieme almeno i problemi più urgenti e più gravi, di dare avvio a una nuova stagione di crescita economica, ma anche civile e morale».
Le eredità
(...) Abbiamo infatti ricevuto dai governi precedenti e dalla sinistra un'Italia afflitta da pesanti eredità. Abbiamo ereditato un debito pubblico che a causa dei famigerati governi consociativi del compromesso storico, si è moltiplicato per 8 tra il 1980 e il 1992 e oggi è pari al 106 per cento del Pil. Questa tremenda situazione ci obbliga ogni anno a spendere decine di miliardi di euro dello Stato (ora sono 80 miliardi) per pagare gli interessi sui titoli del Tesoro invece che fare investimenti. Altro handicap (...): abbiamo una pubblica amministrazione pletorica, inefficiente e costosa. La più costosa in Europa: 4.500 euro di costo per ogni cittadino (...). Siamo tributari dell'estero per l'energia che ci serve perché l'estremismo ambientalista è riuscito a impedire che l'Italia sviluppasse la tecnologia nucleare (...). Per questo paghiamo l'energia il 35 per cento più dei nostri concorrenti. (...) Infrastrutture: anche qui eravamo i primi in Europa dopo i tedeschi, mentre oggi siamo al 19° posto e dobbiamo colmare un ritardo trentennale. Il divario rispetto ai nostri diretti competitori europei come la Germania, la Francia e la Spagna è oggi del 50 per cento. E questo anche grazie ai veti del falso ambientalismo che hanno bloccato il nostro piano di 124 opere strategiche avviato nel 2001 con la Legge Obiettivo, compresi il Corridoio 5 tra l'Atlantico e il Pacifico, il Ponte sullo Stretto e i nuovi trafori alpini.
Lesempio
Ve l'ho già raccontato. C'era una volta un padre che portò suo figlio al cimitero americano e tra quelle migliaia di lapidi gli fece giurare che avrebbe serbato eterna gratitudine verso quel popolo che aveva sacrificato tanti suoi giovani per la nostra libertà, la nostra dignità e il nostro benessere. Quel padre era mio padre. Quel ragazzo ero io. Sarò sempre grato agli Stati Uniti d'America per averci salvato dal nazismo e dal comunismo. (...)
Il modello
Il nostro riformismo liberale è la formula vincente anche nei rapporti internazionali. È stato il riformismo liberale a farci dire per primi (...) che lo Stato di fronte alla crisi doveva intervenire per proteggere le imprese, le famiglie, i più deboli. Sono stato il primo tra i leader del mondo a dichiarare, lo scorso 10 ottobre, che non avremmo consentito che neppure una sola banca fallisse o che un solo risparmiatore perdesse i suoi risparmi. (...) Siamo stati i primi a mettere in guardia contro la tentazione del protezionismo, i primi a studiare misure di sostegno all'economia reale capaci di stimolare i consumi e dare slancio alle imprese. Siamo stati i primi, responsabilmente, a dire che quanto più una crisi è grave, tanto più bisogna contrastarla con la fiducia, con quella che il presidente Obama ha chiamato «l'audacia della speranza». Io lo sottoscrivo con convinzione. (...) Per ricostruire la fiducia dei cittadini europei nell'Europa unita è necessario lavorare ad una riforma dell'Europa che permetta di restituire agli Stati alcune competenze nazionali e, nello stesso tempo, affidi e rafforzi nelle mani dell'Europa le competenze in materia di politica estera e di difesa. (...)
La squadra
Il Popolo della libertà è già nato anche in Parlamento: (...) la nostra grande compattezza ha reso possibile l'approvazione in tempi record di tanti provvedimenti varati dal governo nella situazione d'emergenza in cui ci siamo trovati ad operare. L'asse tra il Popolo della libertà e il governo, grazie anche alla leale collaborazione con la Lega Nord è stata, è e sarà la chiave di volta per garantire all'Italia una stagione di stabilità e di vere riforme e per superare l'attuale crisi finanziaria internazionale. (...) Siamo l'unico governo possibile oggi in Italia. (...)
Le istituzioni sono chiamate a giocare un ruolo impensabile solo fino a pochi mesi fa. Ciò richiede tempi di reazione ben più rapidi dagli abituali tempi lunghi delle istituzioni.
Il futuro
Vogliamo così, in questo spirito, aprire la prima pagina di una nuova stagione. (...) È con questo convincimento, con questa speranza, con questa ambizione che dichiaro aperti i lavori del nostro primo congresso, del nostro congresso fondativo. (...
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