Politica

Quando il ’68 mise al bando tutte le date

È in voga il modo di dire: «Ha una cultura nozionistica», per svilire una persona nella sua formazione e negli studi che ha seguito. Quando un’espressione entra nel linguaggio comune per caratterizzare con buona precisione le qualità o l’assenza di qualità di una persona significa almeno due cose: la prima che ha, quell’espressione, una facile e immediata comprensione, la seconda che ha un’indubitabile corrispondenza con la realtà. Dunque: abbasso il nozionismo! Una vera cultura deve prescindere da esso e contenere qualcosa di più consistente. Ma qui si arriva al centro della questione. Può davvero una cultura degna di tale nome prescindere dal nozionismo per aspirare a diventare seria e importante? Tutta un’ideologia educativa aveva condannato a morte il nozionismo senza possibilità di ripensamenti. Siamo intorno al ’68 (attenzione: siamo prima di quell’anno e, ovviamente, anche dopo) e nei licei e nelle università di tutta Europa e degli Stati Uniti si incominciano a mettere in discussione i principi dell’istruzione che ormai da decenni avevano costituito la base dell’insegnamento scolastico e accademico. Lo studio che insiste sulla conoscenza particolare degli avvenimenti appare sia inutile, sia vessatorio nei confronti dei ragazzi. Questa considerazione veniva fatta valere soprattutto per le discipline umanistiche: perché, si diceva, doversi sforzare per tenere a mente la data di una battaglia, della nascita e della morte di un personaggio, di una grande scoperta? Semmai, sempre si sosteneva, è fondamentale conoscere il significato complessivo dei fatti, l’interpretazione degli eventi, la visione politica e sociale del problema in questione. Non erano considerazioni sbagliate perché favorivano la discussione, il confronto delle idee su aspetti cruciali della storia, della letteratura e della filosofia. E anche si limitava l’uso esasperato della conoscenza nozionistica ai fini della valutazione, del voto da dare al ragazzo interrogato. Dunque, il ridimensionamento del valore del nozionismo apriva a possibilità educative più complesse, che favorivano maggiormente la riflessione e la criticità. Ma, come sempre, quando si esagera si perde il buono che si è messo in cascina. Il nozionismo diventa, nelle scuole, un reato, e questo atteggiamento ha finito per essere disastroso, favorendo sia la superficialità delle conoscenze, sia interpretazioni presuntuose o campate per aria. Si comprende adesso il ritorno dell’attenzione formativa ed educativa per i particolari, per i dettagli, che segnala evidentemente un’inversione di tendenza ormai ritenuta necessaria. Il principio è semplice: discutiamo di fatti e di avvenimenti, ma cerchiamo di conoscerli con una discreta precisione prima di avventurarci in grandi interpretazioni. Mi sembra un atteggiamento giustissimo, però... Il «però» è decisivo e ci mette in guardia dell’esagerazione. Oggi il nozionismo ha una modalità particolare, quella cioè suggerita dai nuovi media in una società in cui si è affermata la cultura di massa. Naturalmente penso ai quiz televisivi e alla concisione della comunicazione via internet, ma soprattutto al modo in cui tale concisione e rapidità si è imposta nel mondo accademico, luogo per definizione custode della cultura più alta e dell’insegnamento migliore. Oggi le verifiche nell’università per superare gli esami e le ammissioni alle facoltà a numero chiuso sono fatte attraverso test, un espediente pratico ma discutibilissimo proprio sul piano della riflessione e della comprensione problematica di un fatto di cui l’esaminando dovrebbe dare ragione.

Così il nozionismo finisce per avvalorare un sapere totalmente privo di criticità, cioè inutile.

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