Quando la rabbia del punk faceva tremare il Muro di Berlino

La chiamavano Repubblica Democratica Tedesca quella DDR, ovvero Deutsche Demokratische Republik, che dal 1949 al 1990 represse, torturò e uccise i cittadini tedeschi avversi alla dittatura comunista imposta dal blocco sovietico nel dopoguerra.
Per fortuna, lo scorrere del tempo sta permettendo alla Germania, oggi traino d’Europa, di procedere a un rendiconto puntuale col proprio passato. Si tratta di un rito, che la cultura ufficiale dominante compie con l’esattezza teutonica degna delle grandi occasioni. Adesso, infatti, arriva un altro tassello a completare quel complesso mosaico, che Erich Honecker e i suoi compagni di partito, la SED dei vopos pronti a fucilare i fuggitivi sotto al Muro di Berlino, misero in piedi negli anni oppressivi, così ben raccontati dal film Le vite degli altri del premio Oscar Florian Henckel von Donnersmarck. Chi ricorda l’impressionante scena dell’interrogatorio, con il cane-lupo addestrato ad annusare la paura, dunque la «colpa» e la menzogna dell’indiziato di turno, sa di che cosa stiamo parlando. Il fatto è che da lunedì si può consultare «Substitut», l’archivio del cantante Michael Boehlke, già cittadino DDR ed ex-punk, ai tempi perseguito in quanto tale. Si sbaglierebbe a pensare che nell’infernale macchina detta Germania Est non esistessero movimenti giovanili alternativi, i cosiddetti «draussen» (quelli «fuori» dal sistema) riottosi a imbrancarsi nelle Case del Popolo, ad ascoltare, di sabato sera, insulse canzoni popolari russe, vietnamite, oppure mongole. Per tacere delle esibizioni dei cantanti folk, provenienti dall’Italia di Enrico Berlinguer. Giovani refrattari al «Subbuotnik», quell’obbligatorio servizio di pulizia dei parchi intitolati agli eroi della Rivoluzione Russa, dove anche le foglie si vestivano d’impegno sociale. C’erano, eccome, tra i Settanta e gli Ottanta, i punk con i capelli rossi, le borchie, gli stivaloni da motociclista, gli anelli cafoni. E una gran voglia di bere, di «farsi» e farla in barba ai «compagni» democratici, che li costringevano ai margini delle città, privi dei loro diritti civili.
Tutto questo è Storia, come documentano oltre cinquemila tra foto, film,Super8, poster, diapositive, atti e memoranda della Stasi, la polizia addetta alla «Sicurezza di Stato», a disposizione presso una sede del Ministero degli Interni, distaccata nel distretto berlinese di Pankow, ribattezzato «Punkow». La mostra, intitolata «ostPunk!Too much future» («Punk dell’Est! Troppo futuro») è visitabile anche on-line: www.substitut.net e fa capire quanto il regime comunista tedesco considerasse sovversivi quei ragazzi dall’aspetto e dal comportamento incompatibili col sistema DDR.
Sfilano, così, miserabili pagliericci per terra, nelle case sorvegliate h.24 dalla Stasi, dove i punk prussiani dormivano, dopo interminabili giornate passate a fare nulla. Quelle stesse case nella Schliemannstrasse di Berlino Est, che i poliziotti di Honecker contrassegnavano con simboli cifrati, per meglio identificare i siti «rivoluzionari» da non perdere d’occhio. Oggi Boehlke è uno slanciato cinquantenne, che all’apertura della mostra ha raccontato ai media il suo passato di leader d’una band invisa agli apparati di stato: già nel nome, «Planlos» («Senza programma»), il suo gruppo dava parecchio fastidio. «In linea generale, noi punk dell’epoca eravamo individualisti, spinti dalla voglia di farci i fatti nostri», spiega l’artista, la cui ragazza, temporibus, fu schiaffata in prigione senza un vero perché.
Quanto alle canzoni da lui scritte, la Stasi andò invano a cercarne i testi, a casa sua: Boehlke le aveva imparate a memoria, per poter distruggere parole e partiture al fuoco del camino. Gli amici dell’epoca oggi sono attori, editori, musicisti, o gente spostata, che ha pagato caro quello scontro ideologico.

Eppure, da anni si parla di Ostalgie, la «nostalgia dell’Est» che porta i tedeschi ex-orientali ad affollare le sfilate di Trabant, le macchinine autarchiche rimpiante da chi non ce la fa a stare al passo con i fratelli occidentali.

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