Quando Scaglia difese quella compravendita

L’operazione aveva una certa "macchinosità". Ma "la compravendita di traffico era un business assolutamente regolare". Queste sono le ultime dichiarazioni che Giorgio Scaglia rilasciò tre anni fa, in qualità di indagato, ai Pm romani Giovanni Di Leo e Francesca Passaniti. Verbale del 13 marzo 2007

Roma L’operazione aveva una certa «macchinosità». Ma «la compravendita di traffico era un business assolutamente regolare». Queste sono le ultime dichiarazioni che Giorgio Scaglia rilasciò tre anni fa, in qualità di indagato, ai Pm romani Giovanni Di Leo e Francesca Passaniti. Verbale del 13 marzo 2007, quattro ore di interrogatorio negli uffici della Guardia di finanza di Milano. A quel tempo la Procura di Roma già indagava su «una fittizia operazione commerciale di produzione e vendita di carte» telefoniche che «consentivano l’accesso via internet di servizi a valore aggiunto coperti da copyright, dette Phuncard». Erano i primi passi dell’inchiesta poi sfociata nei giorni scorsi nelle 56 ordinanze d’arresto per riciclaggio internazionale e maxifrode fiscale. Quell’interrogatorio a cui fu sottoposto il fondatore di Fastweb, ora in carcere a Rebibbia con l’accusa di riciclaggio, è allegato ai nuovi atti dell’inchiesta. Non solo questo interrogatorio, ma migliaia di pagine di altre carte. Un enorme lavoro di anni che forma la struttura portante dell’indagine che ora si espande dalla telefonia alla politica. Tra queste carte, c’è anche una lettera inviata nel 2007 dall’attuale amministratore delegato di Fastweb, Stefano Parisi, alla Consob e alla Procura di Milano con cui segnalava il rischio di manovre speculative sul titolo della società rientranti in una «pericolosa strategia speculativa e di scalata». A suo avviso, la fuga di notizie uscita sull’edizione di Repubblica del 23 gennaio del 2007 su un’inchiesta aperta dalla Procura di Roma per evasione fiscale, rientrava proprio in questo quadro di speculazione.
«L’affare Phuncard - disse invece Scaglia parlando con i magistrati nel marzo del 2007 - nasce come esigenza di continuità di rapporto con una società come Cmc che era un cliente che non volevamo perdere. Ci siamo posti un problema di effettiva e reale convenienza dell’affare».
Nell’azienda, tra il 2002 e il 2003, vigeva una «divisione di compiti tale per cui si può affermare che c’era elevata autonomia operativa tra i settori». Scaglia disse che il suo «interlocutore era Angelidis. Io - chiarì - mi occupavo anche di tutte le altre società del gruppo E-Biscom del quale stavo anche seguendo la dismissione».
Per quanto riguarda le carte, Scaglia disse che erano stati svolti «diversi controlli» per verificarne «l’esistenza». «Per noi era un business reale ed esistente. I fiscalisti ci avevano detto di accertare se l’affare era reale e per questo avevamo mandato in missione la Farrow». Il mercato delle punchard, aggiunse l’ex ad di Fastweb, «non riguardava l’Italia ma non so indicare in quali Paesi le carte venissero commercializzate».


Ai Pm che gli chiedevano perché l’Italia dovesse essere interessata se la ragione economica dell’affare era tutto estera, Scaglia disse che «la Cmc per noi era un cliente e l’operazione faceva drenare liquidità. Per noi il rischio era quello dell’insolvenza per cui avevamo previsto il meccanismo del prepagamento».

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