Ma quanto ci piacciono i libri che mettono a ferro e fuoco l’Italia

Una mafia tentacolare, una politica corrotta, una gioventù disastrata e una Chiesa immorale. E poi crisi, complotti e "nuovi barbari". I titoli più venduti in Italia sono tutti catastrofisti

Ma quanto ci piacciono i libri che mettono a ferro e fuoco l’Italia

La classifica delle saggistica - quella che trovate sulle pagine culturali dei giornali tra sabato e domenica - è importante. Dice molte cose su una nazione, sulla sua cultura, sulle sue élite. Niente da eccepire sulla rilevanza dei romanzi, sulla narrativa. Pero è scrittura più ludica, leggera anche quando impegnata. Invece i dieci saggi più venduti in Paese ci dicono cosa legge la gente che si ritiene informata. La gente che studia, anche senza pungolo di esame o compito in classe, insomma tutti quei signori che vogliono sentirsi parte dell’intellighenzia. Quelli che in spiaggia non hanno in mano un Harmony, ma importunano il vicino per spiegargli come gira il mondo indicando il relativo grafico. I primi dieci saggi ci dicono anche come questi «cervelli» reagiranno agli eventi contingenti e a quelli futuri. E se pensate che quest’idea sia un esagerazione tenete presente che storici come Robert Darnton hanno dimostrato che la Rivoluzione francese e quella americana sono figlie più dei libri che venivano letti a Parigi e a Boston di quanto lo siano dell’economia, della ghigliottina o dell’antipatia verso le tasse sul tè.

Bene, detto questo la classifica della saggistica italiana fa tremare i polsi. Perché? Semplicemente i dieci libri più venduti fanno sembrare l’Apocalisse un inno alla gioia. I titoli dei giornali americani durante la crisi del Ventinove un’ode al futuro. Le cronicae medievali precedenti l’anno Mille la serena rappresentazione di sorti magnifiche e progressive. Basta dare uno sguardo alla settimana appena trascorsa, e al terzetto di testa nelle vendite, per rendersene conto.

Eterno primo in classifica Gomorra (Mondadori), che realmente saggio non sarebbe. Bellissimo libro che, già nell’allusiva icasticità del nome, trasforma la Camorra in sistema pervasivo e in odor di essere inestirpabile. A seguire Se li conosci li eviti (Chiare Lettere), del duo Marco Travaglio-Gomez: un florilegio accusatorio che distrugge la nostra classe politica. Poi arriva La deriva. Perché l’Italia rischia il naufragio (Rizzoli). In un solo titolo: prima il senso di smarrimento dell’«Italietta» tra le onde del destino e poi la sua discesa verso gli abissi. Ma anche ai piani inferiori il peana dedicato al disastro nazionale non si arresta: La Casta (Rizzoli) è in classifica da un tempo infinito spesso affiancata dall’Altra Casta (Bompiani) di Stefano Livadiotti. A dargli manforte Il ritorno del principe (Chiare Lettere) che ci spiega come la mafia infiltri la politica, oppure L’ospite inquietante (Feltrinelli) di Umberto Galimberti che, tralasciando le pagine copia-incolla, racconta una gioventù disastrata. Per consolarsi non resta che L’uomo che non credeva in Dio (Einaudi) di Eugenio Scalfari (ma la sfiducia nietzscheana nell’esistenza di entità superiori non a tutti mette il buon umore) oppure I Barbari di Baricco che, in edizione economica, albergano in decima posizione. E Baricco dirà pure da par suo che i nuovi barbari non sono il male assoluto ma intanto siamo di nuovo tutti a discutere, neanche fossimo alla corte di Romolo Augustolo, se il crollo dell’Impero stia per travolgerci.
E qui qualcuno potrebbe pensare: ecco il solito che se la prende con tanti bravi autori di sinistra e la loro denuncia dei mali del sistema. Ma la questione è tutt’altra. Il sinistrissimo Serge Latouche con il suo Breve trattato sulla decrescita serena in classifica non spadroneggia. È il «serena» che lo frega. Non racconta un’apocalisse, semmai un ritorno a uno stile di vita più sobrio. Dovrebbe vergognarsi, non c’è il dramma. Giulio Tremonti dalla classifica è entrato e uscito con il suo La paura e la speranza (Mondadori). Forse se toglieva la «speranza»...

Peggio ancora se parliamo di saggi che cercano «solo» di spiegare o raccontare qualcosa. Esempi? Figurarsi se in piena crisi energetica qualcuno si legge Nucleare il frutto proibito (Bompiani) del fisico Giancarlo Nebbia o Il nucleare salverà il mondo (Mondadori) di Gwyneth Cravens. Meglio un elenco di politici nostrani cattivi cattivi.
Insomma per dirla come quel cantautore: «C’è crisi». E certi lettori italiani amano sguazzarci dentro, e guai a chi gli cerca una soluzione o gli butta lì qualcosa che non fa leva sul malpancismo.

Peccato che anche una paralisi inventata possa facilmente diventare reale. Basta crederci. Basta dirselo e ridirselo. Forse è per questo che un’icona rossissima e démodé come il Maresciallo dell’Urss Semyon Budyonny aveva come motto antidisfattista «La situazione è disperata! Allegria!».

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