Quattro figli e moglie chiusi in comunità Sono le prime vittime del padre-attentatore

Scarpe da ginnastica, una felpa blu e un paio di pantaloni rossi. «Ma come fa a resistere con questo freddo soltanto con quel giubbino?». O. è il più piccolo dei figli di Giovanna e Mohamed Game. Ha solo tre anni e mezzo, ma l’espressione di chi è stato costretto a crescere troppo velocemente. Stringe la mano di Laura, un’amica della moglie del libico, come fosse quella della madre. Si guarda attorno spaurito per controllare che la sua casa sia sempre lì, nel cortile di via Civitali 30, al pianterreno di quello stabile popolare dove il padre e un altro connazionale hanno organizzato l’attentato dell’altro giorno. Menomale che quando sono arrivati gli uomini della polizia a perquisire l’appartamento dei suoi genitori lunedì mattina, poche ore dopo l’attacco alla caserma Santa Barbara, era al nido e non ha visto tutto quello che è successo nel suo palazzo. Poliziotti, televisioni, giornalisti, panico e terrore. O. stringe la mano di Laura e mangia un pezzo di pizza insieme ad un amichetto di ritorno dall’asilo, tra poco rientrerà in comunità dalla mamma e dagli altri suoi tre fratelli. L’assessorato alle politiche sociali del Comune li ha presi tutti e quattro sotto la sua tutela, i servizi sociali stanno preparando una relazione per capire qual è il percorso migliore da seguire e dove sistemarli. E se anche in questi giorni saltano la scuola poco male. Guai se venissero additati come i figli del kamikaze, portandosi dietro per tutta la vita una macchia di cui non sono responsabili. In fondo, sono loro le vere vittime di questa sciagurata vicenda, non hanno avuto alcuna possibilità di scegliere ed hanno soltanto subito. C’è già chi li teme, così piccoli e li identifica come quelli che prima o poi seguiranno le orme del padre. «Perché certe cose si imparano in famiglia e a meno che uno non cambi completamente ambiente, è facile ricadere negli stessi errori». Ma chi lo ha detto che deve andare necessariamente così?
Per fortuna in comunità c’è anche la madre. Qualche volta deve scappare via per andare al commissariato o da qualche altra parte. C’è anche uno psicologo che li segue. Pazienza se non hanno ancora capito bene quello che è successo, è meglio così. Le condizioni della famiglia Colombo-Game era già stata segnalata ai servizi sociali, come situazione difficile. Lo confermano anche le maestre dell’elementare Dolci, dove sono iscritti i tre figli più grandi. A., il secondogenito di Giovanna e del suo primo marito, è il più problematico: difficoltà nell’apprendimento e comportamentali. D.

invece, il più grande, è quello più tranquillo, studia e fa amicizia con tutti.
Sono le due del pomeriggio, O. ha finito la sua pizza, si guarda intorno senza mai lasciare la mano di Laura. Ora è tempo di tornare dalla mamma.

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