Un rapporto spesso drammatico, quello tra gli italiani e il loro territorio: dal dopoguerra a oggi lazione combinata di una diffusa «edilizia selvaggia» unita a una scarsa cultura di prevenzione ha accentuato i naturali rischi idrogeologici della penisola. E in 50 anni abbiamo contato più di quattro vittime al mese, in tutto 2.552, a causa delle frane, che a oggi sono state censite in quasi 470.000. Gli smottamenti hanno coinvolto circa 20mila chilometri quadrati, pari al 6,6% dellintero territorio nazionale. Colpito dal dissesto quasi il 70% dei comuni: 5.596 su un totale nazionale di 8.101.
Le aree più colpite, ovvero le province con più elevato indice di franosità (il rapporto fra larea in frana e il territorio totale), sono Sondrio, Lecco, Chieti, Pesaro e Urbino, Ancona. Statisticamente le frane rappresentano, dopo i terremoti, le calamità naturali che causano il maggior numero di vittime e danni a centri abitati, infrastrutture, beni ambientali, storici e culturali. Dal secondo dopoguerra ad oggi gli eventi che hanno causato più danni sono stati la crisi idrogeologica nel Salernitano dellottobre del 1954, la catastrofe del Vajont dellottobre del 1963 e la frana in Val di Stava del luglio del 1985, rispettivamente con 297, 1.917 e 269 morti; le colate rapide del 5 maggio del 1998 a Sarno, Quindici, Bracigliano, Siano e a S. Felice a Cancello con 153 morti.
Secondo lo studio «Ecosistema rischio» di Legambiente e Protezione Civile svolto su 550 comuni tra quelli classificati a «elevato rischio idrogeologico», in 9 comuni su dieci ci sono abitazioni costruite in aree a rischio (ma in Campania e Calabria si raggiunge il 100%) mentre in 5 su dieci sono in zone pericolose anche gli insediamenti industriali.
Le soluzioni? Il ministro per la Pubblica amministrazione e lInnovazione, Renato Brunetta, ha lanciato una sua ricetta: «Abbiamo bisogno di unetica assicurativa applicata a livello di massa».
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