C’è una distanza, profonda come una voragine, che traccia il solco presto, prestissimo. Ancora prima delle elementari, prima ancora della scuola materna. Più di cinquant’anni di ricerca avevano già rivelato la triste verità che i figli di famiglie a basso reddito e di genitori meno istruiti, di solito iniziano il loro percorso scolastico con competenze linguistiche più povere rispetto a quelle dei loro coetanei più privilegiati. Bambini da due a quattro anni, di status socio-economico più basso, restano indietro. Anzi, di fatto svantaggiati in partenza, condannati a una rincorsa nei casi migliori. Ma non solo: la differenza tra classi influenza anche la capacità intellettuale delle persone. Lo dimostra un lungo studio iniziato da diversi gruppi di studiosi, inglesi e americani, già negli anni 60 e che continua ancora oggi a evolversi. Negli anni 90 un dato che ha concretizzato la distanza: 35 milioni di parole dividono il mondo dei ricchi rispetto a quello dei poveri. I bambini intorno ai quattro anni di famiglie con uno stato economico più elevato ascoltano infatti in media 35 milioni di parole più che i figli cresciuti in un ambiente umile. Discorsi più articolati, frasi ricche di sinonimi, come un puzzle, la lingua che si compone con tanti piccoli pezzetti da incastrare una volta in un modo, una volta in un altro. Ricchezza quindi di linguaggio, di opzioni. L’esperienza e l’ambiente che forma e modella, lancia segnali e manda sempre nuovi imput. Il fenomeno catalogato nello studio degli autori americani, Betty Hart e Todd Riesley con The Early Catastrophe. The 30 Million Word Gap spiega come l’ambiente e classi sociali influiscono sullo sviluppo linguistico del bambino perchè nello sviluppo bisogna considerare vari campi di esperienza: sociale, percettivo, sviluppo cognitivo. Gli autori nel 1995 avevano analizzato questo fenomeno analizzando 126 famiglie durante i primi quattro anni del piccoli. E ne esce una fotografia nitida. Un’ora ogni 15 giorni con ognuno di queste famiglie, osservando la quantità di parole che i genitori dicevano ai figli. E i dati hanno fatto emergere un dato inquietante: i bambini con famiglie agiate avevano ascoltato una media di 48 milioni di parole, mentre i figli di famiglie povere 13 milioni. Quello che è emerso era che tutti i genitori, ricchi o poveri, cercavano di fare il loro meglio possibile, ma secondo la loro visione del mondo. E quindi: le famiglie con più potere economico, instillavano nei loro piccoli maggior capacità analitica dovuta anche al fatto che i dialoghi erano più ricchi, con una varietà linguistica più ricca. Più colori e più sfumature. Dall’altro lato, i genitori meno abbienti insegnavano ai figli valori come l’adattamento all’interno del gruppo e l’obbedienza utilizzando una gamma di parole più ridotta, circoscritta in un campo più limitato. E l’ambiente incide sulla capacità cognitiva di determinare il quoziente intellettivo dei piccoli. È quello che i ricercatori considerano un circolo continuo di disuguaglianza economica. Un abisso che parte dall’infanzia, dai primissimi anni. Ed ecco la tessera che si aggiunge a questo grande puzzle in continua evoluzione: potenziare il dialogo. Josè Ramon Alonso, neuropsichiatra e professore all’università di Salamanca ha unito i puntini e spinto il discorso ancora un pochino più in là. «L’importante non è parlare a tuo figlio, ma parlare con tuo figlio». Una distinzione fondamentale.
Farlo ragionare, illuminare, creargli nuove prospettive, punti di vista diversi, far prevalere la comunicazione dal vivo. Non basta insegnargli parole nuove, ma utilizzarle in modo diverso, creativo. Scoprire le abilità dei piccoli per potenziare i loro punti di forza di chi diventerà grande domani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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