La parolina magica è «breakup»: letteralmente
rottura, fallimento, disgregazione. Di cosa? Dell’euro, semplice. È
questo quello che sta in fondo ai pensieri della grande speculazione e
delle ondate di venditori che in queste ore stanno uccidendo le
quotazioni dei titoli azionari in tutto il pianeta. A cui, con
progressione importante, si sta aggiungendo da qualche settimana la
paura di una seconda recessione. Il mix che ne deriva è sconvolgente.
Ieri anche la Borsa di San Paolo del Brasile ha ceduto di schianto,
più del 5%.
Allora chiamiamo questo movimento, per semplicità,
«Finanza».
Ebbene, la Finanza ha una forza così dirompente che il suo
avversario, la «Politica», in questo momento non può nulla. E non
basta, c’è di più: quando i suoi più autorevoli rappresentanti prendono
la parola per rassicurare o per convincere i mercati, è ancora peggio.
Vengono sbugiardati e irrisi dalla Finanza, schiacciati come fossero
fastidiosi grilli parlanti. Tanto che la Finanza non vede l’ora che ci
sia un appuntamento in agenda: un discorso alla nazione, una manovra
finanziaria, un annuncio di politica monetaria. Dopodiché, il giorno
dopo o il giorno stesso, sui mercati si scatena un finimondo peggio di
prima. È accaduto con la manovra finanziaria approvata in 48 ore dal
Parlamento italiano;è accaduto con l’accordo sul default americano e
con le dichiarazioni di Obama; è accaduto ieri pomeriggio in maniera
ancora più clamorosa con le parole di
Trichet: il presidente della Banca Centrale europea voleva mandare ai
mercati un messaggio chiaro. Quello che «la festa è finita», perché da
oggi la Bce avrebbe acquistato sul mercato i titoli pubblici. Peccato
però che avesse aggiunto che questo intervento non sarebbe stato
strutturale, come negli Usa, ma limitato fino all’intervento del nuovo
Fondo di stabilità europeo, che potrà operare da settembre. Il che
corrispondeva a un’ammissione di sfiducia. Come a dire: «Compriamo i
titoli, ma lo facciamo mal volentieri e per il minor tempo possibile
». In più,come se non bastasse, si è poi appreso che nel direttivo
della Bce, la Bundesbank (Banca Centrale tedesca), non era stata
d’accordo. Apriti cielo: le Borse, che erano
in terreno positivo, hanno bruciato 170 miliardi in 2-3 ore. In attesa
del prossimo grillo parlante: già si parla di un vertice straordinario
nel week end. Quale occasione migliore per un’altra bella pettinata
ai mercati lunedì o martedì prossimo.
Il punto è che se la
Politica, a Washington come a Bruxelles, a Francoforte come a Roma, si
riduce a grillo parlante, la Finanza non
perdona. Vende perché sa di poter ricomprare a prezzi più bassi. E poi
venderà ancora non appena lascerà spazio a qualche timido rimbalzo.
Fino a quando? Ci vorrà dalla Politica una risposta credibile e
realizzabile. Che però,in un’Europa divisa e dominata ancora dagli
interessi nazionali, spesso di piccola bottega elettorale, non sembra un
obiettivo a portata di mano. Mentre in America - lo si è visto dopo il
fallimento di Lehman Brothersnonostante i proclami del Presidente
Obama, le leggi che avrebbero dovuto punire i banchieri responsabili
degli eccessi che hanno portato alla crisi del 2008, hanno fatto poco
più che il solletico al sistema Wall Street. Tornato presto a macinare
utili e bonus milionari per i manager. E come fa, allora, questa
Finanza a temere la Politica?
Così in questi giorni, nelle Borse, accade un po’ come quando si gioca alla roulette, si puntano 10 euro sul rosso, ed esce nero. Che problema c’è? Basta raddoppiare la puntata fino a quando non uscirà il nostro rosso. Peccato però che il casinò preveda un limite alla puntata, per evitare che salti il banco: a un certo momento non si può più raddoppiare. E si perde tutto. Lo stesso capita sui mercati in questi giorni, ma con una differenza: che la Finanza può raddoppiare all’infinito senza che la Politica sia in grado di mettere un limite. Con il rischio che questo limite, alla fine, diventi proprio il «breakup».
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