Quei guru del Pil che hanno sbagliato tutte le previsioni

In ambiente finanziario gira la seguente storiella: per un’offerta di lavoro si presentano tre persone, un matematico, un contabile e un analista di un prestigioso ufficio studi economici. Viene intervistato per primo il matematico e gli viene chiesto quanto fa due più due. «Quattro», risponde sicuro. Poi entra il contabile e gli viene rivolta la stessa domanda. «Di solito fa quattro» è la risposta, «ma si può sforare di più o meno il 10% senza troppi rischi». Infine entra l’economista dell’ufficio studi e anche a lui viene chiesto quanto faccia due più due. L’analista si guarda intorno, si alza, va a chiudere la porta, si avvicina all’intervistatore e gli bisbiglia: «Quanto volete che faccia?».
Il fatto è che l’economia è una scienza con due volti: ci sono dati oggettivi e leggi quasi fisiche ma essi convivono con lo spinoso problema di certe previsioni, ineliminabili come gli oroscopi ma per le quali non è dimostrato alcun fondamento. La natura umana è caotica ed imprevedibile, quindi un economista ha le stesse probabilità di «centrare» il futuro quante ne ha un appassionato di calcio di prevedere il risultato di una partita: può capitare, ma deriva da esperienza e sensibilità, non certo da un qualche infallibile metodo matematico, altrimenti sarebbero garantiti sia il tredici al Totocalcio che i guadagni in Borsa.
Non si tratta quindi di «chiudere la bocca» a nessuno: se hanno diritto di parola i cartomanti delle televisioni locali figurarsi se non deve averlo l’ufficio studi del Fondo monetario internazionale o di Bankitalia (che oltretutto usa la cortesia di non fare previsioni sul Pil dell’anno successivo), basta che tutti sappiano che queste previsioni valgono quello che valgono: cioè nulla. La casistica è talmente ampia che non dovrebbe lasciare adito a dubbi. Il rapporto Afo dell’Associazione bancaria italiana per il 2007-2009, all’epoca presentato con tutta la magniloquenza che meritano le cose importanti, prevedeva per il 2009 una crescita di quasi il 2%. Sbagliare di sette punti di Pil (ed altri hanno fatto peggio) equivale ad oltre cento miliardi di euro, un erroruccio che se ci fossero ancora le lire sarebbe un due seguito da quattordici zeri, difficile sia da scrivere che da immaginare. Il fatto è che l’esempio è solo uno dei tantissimi, sia italiani che internazionali, che si possono scegliere. Il giorno prima di fallire, la banca Lehman Brothers aveva un voto AA- assegnato dai superuffici studi delle agenzie internazionali: un giudizio superiore a quello dei titoli di Stato italiani e che implica un «grado di sicurezza molto elevato ed uno scarso impatto sul rischio da parte di qualsiasi fattore prevedibile». E già, prevedibile... Chi poteva immaginare che saltasse da un giorno all’altro? Vero, ma allora a che serve il costosissimo rating? A dir la verità qualcuno che ci vedeva lungo c’era, dato che il prezzo dell’azione Lehman era crollato ben prima di fallire; il fatto è che i prezzi di Borsa sono fatti spesso da gente che rischia di suo e quindi sta all’erta: roba sporca, da praticoni, niente a che vedere con un bello studio patinato di previsione, presentato davanti ai fotografi con tartine e sorrisi.
Intanto però i bond Lehman e quelli delle banche islandesi (queste ultime anche dopo il fallimento della banca d'affari, quando ormai qualche «leggero» sospetto sfiorava anche i bambini) stavano allegramente nella lista «Patti chiari» delle obbligazioni a basso rischio. Neanche da dire che quelli che sbagliavano allora le previsioni e che compilavano le liste sono gli stessi che oggi vaticinano sul futuro del Pil.
Per gli appassionati degli archivi, con un po’ di pazienza, non dovrebbe essere difficile ripescare gli studi del 2000 che pronosticavano utili mirabolanti per società internet ormai in maggioranza fallite.
Casi isolati? Previsioni a lungo termine? Mica tanto. Non è ancora passato un anno dal 3 luglio 2008 (si noti bene la data, non è un secolo fa, è lo scorso luglio), quando il governatore della Banca centrale europea, che dovrebbe disporre dei dati migliori di tutti, decideva un rialzo dei tassi di interesse sentenziando che «per ora la crescita continua» e che «i fondamentali di Eurolandia rimangono solidi». Le Borse stavano crollando da un anno ma evidentemente il governatore preferiva leggere le previsioni del suo ufficio studi: un po’ come guidare la macchina ad occhi chiusi e sterzare secondo le previsioni preparate il giorno prima da uno scienziato. C’è da fidarsi.
In conclusione: le previsioni sul futuro dell’economia sono un bel giochetto ma bisogna essere consci che vengono realizzate o con modelli sofisticatissimi (che sbagliano alla grande) o a spanne o con una combinazione dei due metodi. La particolarità è che quello che nel mondo normale è un errore marchiano, nel mondo dei dati economici è un dato che «viene rivisto» finché di revisione in revisione diventa giusto, quando ormai è passato.


In tutti i casi basta sapere che fare previsioni è legittimo e doveroso perché sarebbe assurdo muoversi a casaccio, ma la palla di vetro la tirano fuori solo individui di dubbia serietà. Il futuro è quello che costruiremo da oggi in avanti, ed è indipendente sia dalle previsioni dell’Ocse che dal transito di Saturno nel Leone.
posta@claudioborghi.com

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