di Giovanni Gavazzeni
Ai dissensi (misti agli applausi) manifestati alla conclusione del Don Giovanni da una parte del pubblico allindirizzo del regista Robert Carsen e del maestro Barenboim (nella foto), vorremmo aggiungere alcune riflessioni. Nel campo del «pensare troppo» a qualcuno forse è sfuggito che il rapporto fra Donna Anna e Don Giovanni è e deve restare indefinito. Che il rapporto sia stato consumato non importa. È fondamentale però che il seduttore rimanga ignoto alla vittima, essendo il suo mistero parte del mito. Ma se i due «consumano» a viso aperto, si perde la gradualità con cui Donna Anna scopre lidentità del seduttore e assassino del padre. Sentire chella chiede chi sia il fellone, avendo assistito allamplesso coram populo, sfiora, ci si perdoni, il ridicolo. Il rammarico per loccasione perduta che ci ha lasciato la parte visiva e drammaturgica si accoppia alla delusione in campo musicale. Precisiamo. Non si parla di dissentire su un «tempo» veloce o lento, ma sul modo come questo è sostenuto, non essendo noti i cosiddetti tempi giusti pensati da Mozart. Nel maestro Barenboim ci pare di aver individuato una scarsa propensione alla fisiologia dei tempi operistici (il rapporto fra il canto e la scansione che lo sostiene). Se questa correlazione che, soprattutto in Mozart, è stile, viene meno, il risultato è quanto percepito da una parte del non convinto pubblico. A quanto detto, che non è poco, cè da aggiungere limpaccio in alcuni punti topici dellassieme.
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