Mosca - Il casamento è maestoso, quasi si potrebbe dubitare di essere in qualche altro nordico paese, ma superato l'ingresso ogni dubbio si scioglie. È inconfondibile il verde ramarro sbavato dei muri delle scale, tetre ed emananti un odore che è di cavoli, di polvere e di umori umani. Impasto di sporcizia, confusione e fumo che prende vita a respirarlo, e ti fa dire: rieccoci in Russia. Nazione più che complicata, ostile e però complice, finta, ma alla buona, pigra ma inquieta, e in misura che dalla nostra Europa non si può capire. Ed in effetti dall'Italia o dalla Germania qui quasi sempre si finisce, non si viene.
Non parlo dei turisti ma di chi appunto viene a viverci, anche solo per qualche tempo. Perché il soggiorno qui perde qualsiasi preciso movente. A guardarsi bene dentro è in effetti quasi sempre un perdersi, inseguendo qualche idea vaga, un intento con troppi sentimenti perciò fuorviante, approssimativo. E però come quest’ariaccia sporca è non saprei dire perché tranquillizzante; come questi colori autunnali delle foglie degli aceri e il bel cielo.
E comunque, malgrado le anime e le distanze, e proprio tutto cospiri a far perdere la nozione consueta del tempo, resta l'agenda delle cose da fare a Mosca, così splendida di nuove architetture. Città certo elettrica e nervosa, anzi direi feroce, e però pure lei direi impossibile da ridurre a uno schema. Perché eccomi la mattina dopo nell'imperdonabile distrazione di non essere sceso alla fermata giusta della metropolitana. Soccorso solo dalla pietà delle donne ritrovo la fermata della Lubjanka, tra i palazzoni solenni degli zar e del partito.
Spazi immensi, nei loro intenti disumani, anzi terrorizzanti, giacché questo palazzone era appunto la sede del vecchio Kgb. Ne emana una solennità di cui si sente che è meglio non fidarsi. Edifici più adatti al cielo grigio, e smisurato e a far sentire quindi il potere: incombente e perciò totale. Come una scenografia di pietra in spazi smisurati, e che però subito dopo si nega. Perché poche strade e inizia una Mosca di piccole viuzze, alberi bassi, mura e cancelli storti che sembrano le scene di una favola ricolma di casette tutte infantili come quella del Maestro e Margherita.
Ed ecco l'istituto dove questo vecchio professore russo dalle maniere anglofone ci fa accomodare. È persona per bene, ha lavorato all’estero in sedi internazionali. Parla con misura e precisione della economia russa. Sa bene la delicatezza della situazione presente e come molto ora dipenda dal prezzo del gas. Ma come un giocatore di scacchi lima le nostre repliche e relativizza, poco alla volta ci pilota verso un suo ottimismo. Ma nel farlo, essendo però noi italiani, e quindi in atavico desiderio di simpatia, lui stesso inizia a mutare. La sua fisiognomica quasi perfetta, da burocrate anglofono, evolve.
Poi, nel negozio di libri che con lui visitiamo, l'attenzione cade inevitabile sui titoli all'entrata, per lo più di guerra: sui generali bianchi, o sui carri armati o sulla Mosca di Napoleone. E il professore di prima via via si scioglie, in intenzione ridente e infantile di stupire. In effetti sa tutto di armi, pur essendo a vederlo una persona più che mite. Non solo, ma ricostruisce la guerra con la Georgia, e con un certo orgoglio per il suo esito che attribuisce alle virtù guerriere russe. E non è importante capire se davvero egli abbia o no ragione, ma conta piuttosto il sentire che ne deriva. Si vede che dietro la solida, occidentale scienza economica si apre in lui un ben altro spazio, distante, enigmatico, teatrale, in cui ti fa perdere e si perde, mentre si diverte.
Del resto è questo essere alla buona dei russi, e la confusione nei compiacimenti, che seduce. Ma anche insidia e confonde. Trascina noi europei in ragionamenti smisurati che come le distanze qui non hanno mai limite. E però non v'è dubbio, anche la loro tv è piena di film a puntate sulla guerra in Cecenia, o su qualche altra zarista o staliniana, non importa. Il fatto è che i più qui alla patria russa ci credono; magari la derubano, ma non v'è dubbio sarebbero pronti a morirci in misura per noi impensabile. Del resto nei Tg c'è sovente il presidente in tuta militare che presenzia a qualche manovra dell'armata e la commenta.
Ma del resto a porre un limite alle esagerazioni russe che così volentieri sconfinano in abissi pacifici oppure guerreschi, c'è dell'altro che impedisce di generalizzare. È la gran dose di intelligenza della quale i russi sono capaci, in una commistione di pensieri infantili e però ogni volta potenti, impolitici, inetti ad amministrare, ma sempre di genio. Come è anche geniale la palestra di Sistema, che frequento poco lontano dalla fermata Beloruskaja. Sistema può dirsi oggi la più ammirata forse delle arti marziali, studiata dagli americani e persino tra i maestri giapponesi. Difficile spiegare il perché: non ha forme o kata preordinati, potrebbe a prima vista dirsi una specie di ju jitsu. Ma non sarebbe preciso dirlo: è un addestramento a mutare il corpo in mobile forma di respiro, che si indurisce o si plasma morbida al moto altrui, per quanto cattivo o veloce sia. Ed è un addestramento che usa espedienti impensabili, con esiti inattesi, capaci anche di estrema durezza.
Pare originarsi dai monasteri russi, in una qualche relazione con l'esicasmo; un'arte cosacca estrema, morbida ma al contempo di una efficacia che non si immagina. I corpi degli istruttori sono segnati da cicatrici, e il maestro col viso pacifico e buono è un rinomato ex colonnello delle truppe speciali. Meglio non dirne di più, se non che pare che persino la guardia del corpo di Stalin fosse fatta di esperti di questa strana arte cristiana. E comunque basta già a immaginare che debba esservi nello scrivente, un che di matto per sopportare le sue durezze, in palestre dove non v'è per terra neppure un tatami. Al punto peraltro che dopo un po' d'allenamenti, l'idea del massaggio che mi dicono devo fare, mi persuade.
La speranza è quella di mani femminili che mi diano un qualche materno conforto, dopo allenamenti che è poco dire seri. E invece: ecco Andrej, cristone siberiano, somigliante a Rasputin... Per dire le pene della mia ora di massaggio, senza turbare il lettore ci vorrebbe un film dei fratelli Vanzina. A raccontarla sul serio, mi sentirei male. Ma per i più colti si pensi alle avventure dei libri di Lermontov o a Taras Bulba. E però il giorno dopo i dolori che avevo prima sono spariti: sono indolenzito, ma miracolato nelle ginocchia e nei miei altri guai. E lo stesso vale per gli allenamenti, si arriva ad una nuova flessibilità, e a maestrie impensabili. Il corpo respirante diviene percezione evidente e risanante. Ma non è che un estremo. Dall'altra parte c'è una durezza non compiaciuta ma atavica. Per di più qui sono quasi tutti omoni enormi. Ma inevitabile si crea alla fine un'amicizia infantile. O altri forse la chiamerebbero un regredire a fiducie primitive.
Però così si diventa amici, e ti trovi invitato a pranzo da Sascha, un quarantenne. La sera prima ero stato peraltro a cena al caffè Puskin; quello che pare sia uno dei migliori ristoranti di Mosca. Ma questo che si chiama Gussari, ovvero Hussari, visto che la hacca diventa g in russo, nulla ha da invidiargli. È uno sfarzo di architetture, disegnato a quanto pare da uno dei curatori del Bolscioi, con una spesa di mobili d'epoca che intuisco sterminata. Si pensi solo che una parete e decorata con pistole d'epoca a centinaia, poi divise e sciabole. Un film di Visconti non avrebbe potuto pretendere di meglio. Pure il mangiare è dei migliori, ma la sorpresa viene quando chiedo al mio compagno di Sistema, che mestiere fa. Un altro al tavolo allora ride: è lui il proprietario di questo ristorante milionario e possiede pure un centro commerciale.
Insomma, questo russo alla buona è ricco. Parliamo di una vacanza a Napoli che non gli è piaciuta, città che gli è parsa invivibile, troppo persino per chi è uso al caos russo. Imbarazzato allora svio il discorso. E così mi riviene in mente la domanda che m'ero fatta il giorno prima al caffè Puskin, pure quello in stile napoleonico. Gli domando se la Russia non stia cercando nel passato un proprio futuro che non sa. E anche la politica di Putin non è un riaggancio alla Russia com'era, potenza zarista, prima dell'ideologia comunista? E se i ristoranti più importanti e frequentati fanno il verso all'epica zarista allora questo è un sentire potente, comune. Sascha esita prima della risposta, che poi evita.
Ma resta il fatto che tutti qui cercano un fondo all'abisso, di ritrovarsi in qualcosa. E la storia zarista o la potenza sovietica servono a dare loro una qualche sicurezza.
Certo evitano poi il confronto vero coi guai di un'economia che vive troppo di gas e con la corruzione e la demografia. Ma per agire, non v'è dubbio, i russi hanno prima bisogno di un qualche strano ideale. Non sono dei pragmatici americani, o dei causidici italiani, e tantomeno degli ordinati tedeschi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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