Quel fulgido oggetto del desiderio passato da Buñuel a Chanel n° 5

Michele Anselmi

Alzi la mano, tra noi cinquantenni o giù di lì, chi all'epoca di Quell'oscuro oggetto del desiderio non si divise su Conchita, la diciottenne protagonista del film che quel marpione di Luis Buñuel volle sdoppiare, usando la stessa voce ma facendola incarnare a due giovani donne che più diverse non si poteva: l’algida, elegante, longilinea Carole Bouquet; la caliente, carnale e formosa Angela Molina. Magari pochi sanno che all’inizio il personaggio apparteneva alla sola Maria Schneider di Ultimo tango a Parigi, licenziata e sostituita dopo un mese di riprese. Ricordo, all’uscita dalla sala, non tanto il dibattito sul senso del film, surreale e dissacratorio, quanto la chiacchiera squisitamente maschile su quei due modelli femminili: quasi tutti in realtà tifavano per la francese Carole Bouquet, il sottoscritto per la spagnola Molina.
Ma oggi, quasi trent’anni dopo? Entrambe sono un po’ scomparse dalla scena, del resto si avviano verso i cinquanta, e neanche il cinema europeo, al pari di quello hollywoodiano, è poi così prodigo di ruoli per signore di quell’età. Eppure, alla lunga, la Bouquet, passata indenne attraverso 007, Francesco Nuti e Chanel n° 5, sembra essersi reinventata con più sagacia e scaltrezza. Intervistandola alla Fontane Gaillon, il ristorante parigino che gestiva con Gérard Depardieu prima della separazione, Camilla Baresani annotò: «Si resta incantati da quel viso appuntito, dalla forma della nuca, dalla curva della mascella con lo stacco sul lunghissimo collo».
Magari noi maschietti avremmo dato un’occhiata anche alle gambe lunghe e flessuose, ma certo colpiscono, e positivamente, l’assenza di gonfiori sospetti e di muscoli palestrati, il trucco appena accennato, i capelli semplicemente raccolti a coda di cavallo. Classe francese? Probabilmente sì. Al pari delle colleghe Fanny Ardant, Isabelle Huppert e Sabine Azéma, la Bouquet incarna quel non so che di «parigino» molto idealizzato dagli italiani e non solo. Ne sono certo: anche quel «provolone» del mago Forrester, in questi giorni protagonista di una serie di spot per un’azienda automobilistica transalpina, cadrebbe annichilito di fronte alla grazia altera e distante della Bouquet. Ah, le francesi...
Poi, invece, ti scopri a osservare la foto paparazzata che, gridata su Voici, ha proiettato l’attrice nel gossip estivo: lei nella prediletta Pantelleria, distesa al sole in costume, mentre bacia il suo nuovo fidanzato Antoine. Se si può capire la rabbia della donna, decisa a preservare i due figli da sgocciolature scandalistiche, bisogna però riconoscere che quel momento di tenerezza e abbandono, benché rubato alla privacy, ha finito con l’umanizzarla un po’: rendendola ai nostri occhi meno glaciale e inarrivabile, non più così perfettina, anche se le ottomila bottiglie di vino passito prodotte all’anno, più olio e capperi, denotano, insieme alla cura maniacale con la quale aveva scelto arredi e vettovaglie del ristorante parigino, una grinta manageriale molto in linea con i ruoli interpretati al cinema negli ultimi anni.

O forse no, erano solo film. Alcuni belli, alcuni dimenticabili, come quel Mystère che girò in Italia nel 1983, diretta dai Vanzina, dove era una prostituta di via Veneto in pericolo di vita per colpa di un microfilm ripiegato dentro un accendino.

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