Quel messaggio sospetto all’accusatore di Pennisi: «Bene, contenti ai piani alti»

Quando Milko Pennisi smette di essere un «semplice» consigliere comunale, e passa alle cronache coma un piccolo Mario Chiesa del terzo millennio, il cellulare di Mario Basso si accende con insistenza. Basso è il titolare dell’immobiliare Style, ha una pratica aperta in Comune per ristrutturare un capannone in Bovisa, e - soprattutto - è l’uomo che ha incastrato il presidente della commissione urbanistica a Palazzo Marino pagandogli in due tranche (in cambio dell’approvazione di quella pratica) una mazzetta da 10mila euro, riprendendo con una telecamera nascosta il primo passaggio di denaro. Il suo telefono, così, diventa di particolare interesse. Nei giorni del caos riceve molte chiamate. E sms. Alcuni di questi si traducono in spunti investigativi.
«Bravo», gli scrivono. «Hai fatto bene». «Era ora». E poi, un messaggio che suona enigmatico. «Così ai piani alti saranno contenti». Cosa significa? E soprattutto, chi lo scrive a Basso? Per ora, i tabulati in mano agli inquirenti non dicono chi siano gli intestatari dei numeri da cui quegli sms sono partiti. Spiegano, però, che a conoscere lo «schema Pennisi» (o almeno, quello che la Procura ritiene di aver portato a galla) non erano in pochi. In altre parole, la scoperta che all’imprenditore fosse stata chiesta una tangente per ottenere una scorciatoia in commissione urbanistica non arriva come un fulmine a ciel sereno. La voce, evidentemente, girava. Basso, è il forte sospetto degli inquirenti, non è l’unica «vittima» del consigliere comunale. Non è un caso che, anche nell’ultimo interrogatorio tenuto venerdì nel carcere di San Vittore, i pubblici ministeri Laura Pedio e Grazia Pradella - titolari dell’inchiesta assieme alla collega Tiziana Siciliano - siano tornati a chiedere dei movimenti di denaro sospetti. Versamenti in contanti, a colpi di 5, 8, 10mila euro. I pm, al momento, conoscono i dati bancari di uno dei tre conti scoperti e intestati a Pennisi. Ma ancora una volta, l’ex «enfant prodige» della destra liberal milanese si è giustificato sostenendo che quei soldi arrivavano dal padre. Quest’ultimo, in un altro faccia a faccia con gli inquirenti avvenuto lo stesso giorno in Procura, ha confermato la versione del figlio, senza però ricostruire nel dettaglio i singoli passaggi di denaro. Gli inquirenti restano convinti che la mazzetta per la quale l’ormai ex consigliere è in carcere non sia stata l’unica. E proseguono a scavare nei suoi documenti, nei computer e nei conti bancari. In più, dando un occhio a quei messaggi.
Un sms, in sé, dice poco o nulla. Chiunque - un conoscente, un familiare, un amico - avrebbe potuto comunicare a Bassi la «soddisfazione» per l’arresto di Pennisi. Né, sul display di un telefonino, è possibile intuire il tono del mittente. Ma, tra le ipotesi, è che a farlo possano essere stati altri imprenditori «costretti» a pagare per vedersi approvata una pratica in commissione, e in contatto con Basso.

Oppure - scenario da «idi di marzo» - che della trappola in cui Pennisi è caduto fossero a conoscenza anche altri colleghi del consigliere. Magari, consapevoli dei reati commessi. «Ai piani alti saranno contenti». Quasi fossero ansiosi di dargli una spintarella, una volta arrivato sul ciglio del baratro.

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