Quel Papa Luciani un po’ troppo progressista

Delle fiction religiose riguardanti le vite dei Papi, quella su Giovanni Paolo I, in onda questa sera e domani su Raiuno, è una di quelle più riuscite. Bisogna dunque dare atto al protagonista Neri Marcorè, al regista Capitani e al consulente storico, il vaticanista della Rai Giuseppe De Carli (che in questi anni ha intervistato molti dei protagonisti della vicenda) di aver cercato di essere fedeli alla storia di Albino Luciani, l’indimenticabile Papa Giovanni Paolo I.
Qualche piccola svista o i pochissimi episodi inventati per motivi di copione sono comprensibili, anche se, ad esempio, l’aneddoto di Luciani bambino che si perde nel bosco, sta per cadere in un torrente e chiede aiuto al crocifisso ligneo di un capitello, comprendendo in quel momento la sua vocazione sacerdotale, appare piuttosto fantasioso, non fosse altro perché i figli di mamma Bortola, come tutti gli altri ragazzi di Canale d’Agordo, nei boschi vivevano buona parte delle loro giornate e li conoscevano come le proprie tasche. Così come risente un po’ troppo delle indicazioni di don Diego Lorenzi (il segretario del Papa, consulente alla sceneggiatura) la parte finale del film, dove Giovanni Paolo I appare sofferente e in preda a diversi attacchi di cuore, seppur leggeri, che preludono alla morte, e che invece non vi furono, se non, forse, a detta dello stesso Lorenzi, l’ultimo giorno.
La parte problematica della fiction di Capitani sul «Papa del sorriso» non è dunque ciò che c’è e che ci presenta la figura di un uomo di Dio, umile, attento alla fede dei semplici, pronto a difendere gli ultimi. Il problema è, invece, ciò che non c’è. Il rischio è infatti quello di presentarci un Giovanni Paolo I a senso unico, un progressista un po’ troppo debole, già completamente proiettato verso la morte imminente che gli sarebbe stata profetizzata da Suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima, le cui parole fanno da filo conduttore del film. Non hanno trovato spazio nella sceneggiatura episodi che avrebbero contribuito a far comprendere come in materia di fede e di disciplina ecclesiastica Albino Luciani fosse molto fermo e non scendesse in alcun modo a compromessi. Da vescovo di Vittorio Veneto, nel 1965, non aveva esitato, di fronte alla ribellione dei fedeli del paese di Montaner che non volevano accettare il nuovo parroco da lui nominato, a chiudere la chiesa dopo aver prelevato il Santissimo accompagnato dai carabinieri. Così come a Venezia, nel 1974, dopo una lunga e sofferta trattativa, non aveva esitato a togliere l’assistente ecclesiastico della Fuci, sciogliendola, perché l’associazione universitaria cattolica si era pronunciata pubblicamente in favore del divorzio contro le indicazioni della Chiesa. Sempre negli anni veneziani, fecero molto soffrire il patriarca Luciani le contestazioni dei preti progressisti che giravano con l’Unità in tasca e chiedevano a Roma le dimissioni del cardinale giudicandolo inadeguato e retrogado, proprio perché non voleva scendere a compromessi sulla disciplina ecclesiastica.
Nella seconda puntata della fiction di Capitani si vede ad un certo punto Giovanni Paolo I decidere «nuove norme più semplici ed efficaci» per i preti che chiedono di essere ridotti allo stato laicale, lasciando intendere che il Pontefice avesse deciso di essere di manica più larga in questa materia. In realtà, Papa Luciani decise che fossero immediatamente rivisti i criteri con cui si procedeva per concedere la dispensa, ritenendo eccessivo il numero delle richieste che arrivavano sulla sua scrivania. Una iniziativa che il suo successore Giovanni Paolo II porterà a compimento.

Del resto, l’orientamento e le idee del «Papa del sorriso» su queste materie sarebbe emerso chiaramente nel discorso preparato (ma non fece a tempo a pronunciarlo) per i gesuiti, ai quali chiedeva di essere fedeli alla regola di Sant’Ignazio e di non permettere «che tendenze secolarizzatrici abbiano a penetrare e turbare le vostre comunità».

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