Per alcuni è un profumo, per altri è un afrore. Per alcuni è un piatto principe da buongustai, per altri è un cibo da riservare al massimo al tempo di guerra. Lo stoccafisso, bollito o «accomodato», è così: o lo ami, o lo odi. Un po come laglio: tutti e due, onorati o bistrattati, usati e abusati o sostanzialmente negletti. Eppure tutti e due, stokke e aglio, sono parte indissolubile della storia non solo gastronomica di Genova e della Liguria. A partire da chissà quanto lontano. Per lo stoccafisso parliamo almeno dal Cinquecento, quando si hanno le prime trascrizioni di traffici tra Scandinavia e Genova, tra pescatori norvegesi e commercianti nostrani.
Così il merluzzo nella versione essiccata alla pura e gelida aria artica - che è propriamente lo stoccafisso - o nella versione salata ed esposta al sole glaciale delle Lofoten, è arrivato su queste tavole e non se nè mai più allontanato. Lo ricorda un agile volumetto di Sergio Di Paolo, «Stokke mon amour», Via del Campo Edizioni (12 euro), che è una guida essenziale, ma assai documentata, «al godimento» di stocchefisce e baccalà. Con la fattiva collaborazione di Francesca Traverso, Lorenzo Tosa e Terje Inderhaug, oltre che dell«Associazione culturale dei Palatifini» di Roberto Panizza, lautore ha «cucinato» un omaggio alla liguricità, alle genuine tradizioni popolari che tuttora si conservano, ai personaggi che hanno contribuito allaffermazione di un cibo che è un po anche un modo di essere.
Per rendersene conto, daccordo, si può ben andare alle Lofoten, le isole del Grande Nord che sembrano modellate dal freddo, dove il paesaggio è segnato dai legni delle rastrelliere in cui sono esposti - come altrettanti trofei - i merluzzi a stagionare. Luno accanto allaltro, ma mai in contatto con laltro, per non compromettere irrimediabilmente la conservazione. E sempre per rendersi conto e respirare il profumo (lafrore? Ma che afrore! Un effluvio!), bisognerebbe entrare nei depositi, a pochi metri dalle «rorbu», le casette dei pescatori di Norvegia...
In ogni caso, per capire cosè veramente lo stokke, si può andare anche solo in Sottoripa, in piazza Scio, in via dei Macelli, in quelle genovesissime isole del gusto che sopravvivono alle mode e alle generazioni. È lì che stokke e baccalà, nelle vasche di pura acqua corrente, segnano lambiente come succede per le Lofoten. Ne dà atto, nel libro, Diddi, stoccafissaio in piazza Scio, che spiega: «Se sai cucinarlo bene, il piacere che ne avrai non ha prezzo». Ne dà testimonianza, sempre nel libro, anche Ivano, grossista a San Martino, che mette orgogliosamente in mostra la qualità «ragno», la più pregiata. Ma è soprattutto Gian Paolo Belloni, «cuoco di papi, presidenti e grandi artisti», proclamato ambasciatore dello stoccafisso nel mondo, che ha valorizzato il prodotto presso i gourmet e tuttora realizza sapienti menù creativi nel suo locale di Pieve Alta.
Vale, dunque, la pena leggere il libro e conservarlo, anche perché Sergio Di Paolo vi ha raccolto non solo storia e leggenda, genovesità e liguricità, personaggi e ambienti insospettabili e affascinanti, ma anche - e non guasta di sicuro - una serie di ricette da acquolina in bocca. Per cimentarsi ai fornelli e, magari, provare a immedesimarsi in quei primi esploratori del gusto che hanno scoperto lo stokke e ne hanno fatto unidea.
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