Per qualcuno, tra cui lattore protagonista Claudio Gioè, siciliano, è lomaggio a quei conterranei che si sono ribellati al potere mafioso, ai tanti che come il poliziotto Schirò, a costo di rinunciare alla famiglia e a costo della vita, hanno detto «no» alla prepotenza e allarroganza di Cosa nostra, decidendo di stare dalla parte dello Stato. Per altri, in testa il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, è semplicemente il veicolo di un messaggio sbagliato, unesaltazione del boss Totò Riina, che nella finzione finisce per trasformare gli atti violenti e volgari di un boss mafioso nelle gesta di un semi-eroe.
Mentre il pubblico televisivo premia Il capo dei capi, la fiction di Canale 5 che ha sbancato gli ascolti (oltre 7 milioni di telespettatori e share oltre 30 per cento), lestablishment boccia la produzione di Pietro Valsecchi e alimenta una polemica che, a conti fatti, finisce per confermare la vecchia massima del «purché se ne parli...». Tra i più agguerriti paladini del politically correct è spiccato il Guardasigilli: «Quando si inneggia a un camorrista, a un mafioso, questo mi spaventa», ha dichiarato il ministro, che ne ha invocato la sospensione. Ieri, a poche ore dallultima puntata, anche Antonio Marziale, presidente dellOsservatorio sui diritti dei minori si è spinto oltre, liquidando la vicenda con un lapidario: «Meglio un porno».
Fra i commenti tranchant quello del pm Antonino Ingroia: «Il rischio è uniconografia alla rovescia su Totò Riina, che emana un fascino un po sinistro». E a ribellarsi è stata anche la vedova del funzionario di polizia Giorgio Boris Giuliano, accusando gli autori di non essersi rivolti alla famiglia per tratteggiare la personalità del marito e puntando il dito sullo stereotipo del siciliano «coi baffi, scuro e che parla dialetto». Fuori dal coro il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: «La realtà non va nascosta. La fiction va trasmessa e dovrebbe anche essere discussa in famiglia e nelle scuole».
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