Pierluca Pucci Poppi
Il 6 agosto 1991, l'ex primo ministro dello scià Shapur Bakhtiar, sotto la protezione della polizia francese, viene sgozzato nel suo domicilio di Suresnes, nella banlieue parigina. Il presidente Mitterrand annulla il suo previsto viaggio a Teheran, dove sarebbe stato il primo capo di Stato occidentale a visitare la repubblica islamica.
Il 22 ottobre, Roland Dumas dichiara che l'ostacolo principale per chiudere i negoziati franco-iraniani è «il diritto o no ad avere l'uranio». Il 25 viene concluso l'accordo finale sul contenzioso Eurodif, da firmarsi dopo qualche settimana, e lo stesso giorno il vice presidente del Parlamento iraniano dichiara che «i Paesi musulmani devono ottenere la bomba» per «essere in condizione di parità con Israele». Infine, il 29 dicembre, a Teheran, viene firmato l'accordo conclusivo franco-iraniano sul regolamento della disputa Eurodif. Non si conoscono i termini di questo accordo, rimasto segreto perché, secondo il ministero degli Esteri francese, così ha voluto l'Iran.
Alcuni punti di questo singolare segreto di Stato, che ufficialmente la Francia si è fatta imporre da Teheran, vengono comunque rivelati o confermati da Parigi, fra cui il ritorno dell'Iran nell'azionariato di Eurodif. Secondo molti, Teheran mantiene anche il conseguente diritto di prelevare uranio arricchito, ma Parigi nega di voler fornire questo combustibile alla repubblica islamica. Eppure, il mese precedente gli Stati Uniti avevano chiesto alla Francia di partecipare a un embargo sui materiali nucleari all'Iran, ma fonti governative francesi avevano risposto al Financial Times che «questa non è una questione di politica di controllo dell'export. Questa è politica, punto. Agli americani non piace l'attuale regime iraniano e vogliono che ci associamo al loro odio del momento. Niente da fare».
È mai possibile che gli ayatollah abbiano sostenuto per un decennio una guerra sotterranea con la Francia, fra rapimenti, attentati, assassinii e bombe, per ottenere solamente il rimborso di un prestito di un miliardo di dollari? Non c'erano modi più semplici? L'Iran, grande esportatore di petrolio, aveva a tal punto bisogno di denaro? Per quanto riguarda invece l'azionariato iraniano in Eurodif, leggendo il bilancio 2004 di Areva, la grande conglomerata nucleare francese che controlla Eurodif tramite la società Cogema, si può vedere che la società franco-iraniana Sofidif, composta per il 40% dall'Agenzia iraniana per l'energia atomica e per il 60 da Cogema, continua a detenere il 25% del consorzio per l'arricchimento dell'uranio. Si può anche leggere che «il solo attivo di Sofidif consiste in una partecipazione del 25% nella società Eurodif. L'attività di Sofidif è limitata a partecipare ai lavori del consiglio di sorveglianza di Eurodif, a ricevere la sua parte dei dividendi distribuiti da Eurodif e ad assicurarne la redistribuzione ai propri azionisti». Insomma, l'Iran si ritroverebbe in Eurodif con la stessa quota di trent'anni fa, ma con diritti sterilizzati e la sola capacità di raccogliere dividendi. Un po' poco.
L'Iran ha fatto di tutto, per dieci anni, per ottenere dalla Francia l'uranio arricchito promesso allo scià, pur non avendo centrali nucleari da alimentare. E l'unico altro uso dell'uranio è nelle testate atomiche. Parigi ha sempre negato di aver fornito uranio alla repubblica islamica, anche se nel gennaio del '92 avrebbe rifiutato di vendere uranio arricchito e tecnologia nucleare all'Iran solo dopo pesanti pressioni dagli Stati Uniti. Il 31 gennaio del '92, il quotidiano arabo di Londra Al-Sharq Al-Awsat scrive che Parigi e Teheran hanno concluso un accordo segreto sulla fornitura all'Iran di uranio arricchito. Ovviamente, i francesi hanno sempre smentito.
I responsabili di Eurodif obiettano inoltre che l'uranio da loro prodotto è debolmente arricchito, per centrali nucleari civili, cioè al 3-4%, mentre per ottenere combustibile per un'arma atomica il materiale va arricchito fra il 90 e il 95%. Ciò nonostante, avendo a disposizione le necessarie tecnologie, è più facile aumentare il grado di arricchimento di uranio già lievemente arricchito, piuttosto che iniziare da zero con minerale grezzo, perché in questo modo si scavalca la parte iniziale del processo e si lavora solo sugli ultimi stadi. Insomma, è certo più comodo, soprattutto per un Paese con una modesta base industriale-tecnologica come l'Iran, incrementare il grado di arricchimento di materiale già trattato piuttosto che partire dal minerale non lavorato. E l'Iran durante gli anni '80 ha tentato di procurarsi, sembra con un certo successo, tecnologie per le ultime fasi dell'arricchimento dell'uranio, principalmente da Cina, Pakistan (il padre dell'atomica pachistana, Abdul Qadeer Khan, è stato in Iran nell'87) e Argentina, Paesi con cui Teheran ha concluso diversi accordi di cooperazione nucleare. Inoltre, una volta completata (tra pochi mesi), la centrale atomica di Bushehr sarà in grado di produrre 180 chili di plutonio all'anno: per costruire una bomba nucleare sono sufficienti fra i sette e gli otto chili.
I mullah sciiti di Teheran continuano, ovviamente, a negare di volere l'arma atomica, ma una delle principali distinzioni fra l'Islam sunnita e sciita è che per quest'ultimo è lecita la pratica della Taqiyya, o dissimulazione, cioè l'occultamento delle proprie convinzioni per evitare la persecuzione e garantire la sopravvivenza dei fedeli. Nonostante ciò, a volte gli ayatollah dimostrano una disarmante franchezza: nel dicembre del 2001, Hashemi Rafsanjani, il candidato «moderato» perdente nelle recenti elezioni, dichiara che «l'impiego di una bomba atomica contro Israele distruggerebbe totalmente il Paese, mentre nel mondo islamico non farebbe che causare danni. Questo genere di evento non è inconcepibile».
Se queste sono le parole della colomba Rafsanjani, è facile immaginare come la pensi il falco Ahmadinejad. Inoltre, così come l'Agenzia iraniana per l'energia atomica era sotto il controllo diretto dello scià negli anni '70, oggi il responsabile del programma nucleare iraniano è anche il capo del Consiglio supremo islamico di sicurezza, organismo simile al National security council americano, come a dire che, ieri come oggi, i progetti atomici sono considerati dalla repubblica islamica una questione prioritaria di sicurezza nazionale.
Infine, per tornare alle relazioni nucleari franco-iraniane, va ricordato un fatto singolare accaduto nel corso della visita del presidente iraniano Mohammed Khatami a Parigi, nell'ottobre del 1999. Il secondo giorno della visita, giovedì 26 ottobre, il presidente della repubblica islamica deve pronunciare un discorso davanti all'assemblea generale dell'Unesco, ma l'evento viene annullato per ragioni di sicurezza.
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