Quello striscione interista che rimpiange l'Heysel? Simbolo del nostro calcio

Il lenzuolo esposto al Meazza contiene parole miserabili e ignoranti, ma è rappresentazione del nostro calcio: quello che rifiuta la tessera del tifoso ma si riconoscere con insulti e lancio di petardi

Quello striscione interista che rimpiange l'Heysel? Simbolo del nostro calcio

Il ranking Uefa. Una di quelle cose che assilla i dirigenti del nostro calcio. L'Italia non può permettersi di partecipare con tre sole squadre alla Champions e l'Euroleague va onorata sempre e meglio. Insomma l'Europa ci maltratta in politica ma nel football deve rispettarci perché siamo noi che portiamo denari, siamo noi che abbiamo fatto la storia. Questa la propaganda.
Poi arrivano le partite del campionato e allora odi e vedi i botti delle bombe carta, dei fumogeni, dei petardi durante Roma-Milan, stadio Olimpico mica piazza san Giovanni. Poi arriva la madre di tutte le sfide, allo stadio Meazza di San Siro Milano, e in uno dei settori del tifo interista appare uno striscione sul quale hanno scritto: «Acciaio fragile, nostalgia dell'Heysel».

Accenni all'inchiesta sulla struttura del nuovo impianto juventino, memoria dei trentanove morti nel maledetto stadio belga prima della finale con il Liverpool. Roba bella, di gran classe, «simpatica» per utilizzare un aggettivo caro a Moratti Massimo. Un ispettore della federcalcio ha provveduto a far rimuovere, nel secondo tempo, il lenzuolo mentre gli espositori sono rimasti al loro posto per incitare con affetto e gentilezza la loro squadra, riservando forse qualche rutto agli avversari.

Credo che il vero guaio non siano le parole miserabili e ignoranti di quel messaggio, in parallelo con l'esistenza degli scriventi, ma, piuttosto, il fatto che certi striscioni e, con essi, fuochi di artificio, possano entrare all'interno degli stadi e che nessuno, tra gli astanti, a parte gli addetti della federcalcio, provi un minimo senso di vergogna, di ribrezzo, di rigetto, anzi sghignazzando, come iene, alla lettura e partecipando ai cachinni.

È il nostro calcio, bellezze, è il nostro meraviglioso dodicesimo uomo, è quello che rifiuta la tessera del tifoso ma ama farsi riconoscere dagli insulti, dalle coltellate, dal lancio di petardi e mortaretti, è la «scemografia» che accompagna le esibizioni delle squadre italiane nelle coppe europee, siamo noi l'unica isola fumante della discarica continentale (forse i greci, forse qualche zona portoghese). Controllate le immagini dall'Inghilterra, dalla Germania, dalla Francia, dalla Spagna, a parte risse e incidenti fuori dagli stadi nei quali la legge viene rispettata e nei casi peggiori porta all’intervento duro delle forze dell’ordine e a sanzioni severissime.

Se ci fossero organi disciplinari rigorosi scatterebbe una multa pesante a carico dei soliti noti, avendo costoro biglietto nominale. Dico un milione di euro, come minimo, cifra che andrebbe girata ai parenti delle vittime dell'Heysel, così come i botti dell'Olimpico dovrebbero aver frastornato i padroni americani del club e depresso il neodirettore generale Baldini Franco, reduce dal fair play britannico.

Ma è inutile chiedere severità a chi non sa assumere una decisione se non a babbo morto, a chi non sa gestire un'assemblea di lega, a chi dovrebbe intitolare la sala consigliare della federazione a Ponzio Pilato, a chi reagisce con maleducazione alla critiche della stampa. Forse ci meritiamo i botti di Roma, forse il lenzuolo lercio di Milano è il segno di riconoscimento del nostro football. Una bandiera ficcata nella melma. In cima al ranking Uefa.

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