La Quercia pretende D’Alema al Quirinale

Gianni Pennacchi

da Roma

Il mese delle rose è appena iniziato, e già alcuni petali appaiono avvizziti. La decisione del premier di dimettersi martedì prossimo ha imposto un’accelerazione al calendario politico, ieri i big dell’Unione han dovuto affrontare la chiusura per formare il governo insieme al da farsi per la corsa alla presidenza della Repubblica; il tema del Quirinale occupa ormai anche le dichiarazioni della Cdl, e alla fine di questa prima giornata si contano già le prime vittime. Appunto, i petali che prendono a cadere dalle svariate rose avanzate. Par di capire che l’ipotesi di un secondo mandato per Carlo Azeglio Ciampi, volga al tramonto. E seriamente azzoppato sembra un altro concorrente di rango, Giuliano Amato. Mentre il petalo più vituperato e osteggiato conquista invece spazio e slancio, pur attirando veti e rifiuti. Di Massimo D’Alema, si sta parlando.
Di Quirinale stan discutendo a lungo tanto Silvio Berlusconi coi suoi, quanto Romano Prodi con Francesco Rutelli, Piero Fassino e D’Alema. I leader del centrosinistra si son riuniti due volte, ieri ai Santi Apostoli. Per il governo, assicurano d’essere «alle limature». Per la casella più alta ancora da coprire, i ragionamenti partono da due dati di fatto. Il primo è di carattere «tecnico»: dal quarto scrutinio sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori, cioè 506 voti, e l’Unione ne conta 539, dunque può essere autosufficiente. Il secondo è «politico»: avendo avuto ognuno qualcosa di grande meno i Ds - Prodi ha il governo, Rifondazione Montecitorio e la Margherita il Senato - tocca a loro,il partito più forte della coalizione, esprimere le indicazioni per il Quirinale. Certo, col metodo della «concertazione» seguito sette anni fa nell’elezione di Ciampi, dunque ovviamente «consultando» anche gli avversari, ma altrettanto ovviamente su «iniziativa» della maggioranza. E nella rosa della Quercia, non c’è il nome di Amato e nemmeno quello di Ciampi. C’è quello di Giorgio Napolitano, vecchia bandiera del «comunismo liberale», e quello di Anna Finocchiaro che fa pure «quota rosa». Ma son nomi di contorno, perché il candidato vero ed unico è D’Alema, primo premier postcomunista, primo postcomunista da lanciare al vertice dello Stato.
È vero, fioccano i no della Cdl a questa candidatura, ed anche Oliviero Diliberto che pur ne sarebbe «felice» la considera «politicamente difficile». Fabrizio Cicchitto respinge l’ipotesi D’Alema invocando una candidatura «realmente al di sopra delle parti». Ignazio La Russa spiega che la «massima condivisione» non potrebbe esserci, se venisse candidato «il presidente di uno dei partiti della maggioranza», cioè D’Alema. Secondo Umberto Bossi, «lasceranno lì il Presidente che c’è». A giudizio di Francesco Cossiga, la terna di candidati possibili è «Ciampi, D’Alema, Marini». E Gianfranco Rotondi, muovendo dalla rosa di Berlusconi, dice che «è buono Gianni Letta, ma anche Casini, Pisanu, Andreotti o lo stesso Marini». Sabato, quando il leader della Cdl ha annunciato le sue preferenze, aveva precisato che «Amato è un loro candidato». Di D’Alema però, non ha detto nulla.
Tutto ciò, pur se da tempo l’ex premier socialista e delfino di Craxi viene dato come il candidato preferito non solo da Berlusconi ma anche da Prodi. Il problema è che nella Quercia Amato viene percepito come una foglia estranea, un compagno di strada nemmeno del tutto fidato, un «professionista a contratto» come lo definì proprio Craxi. Anche Napolitano e la Finocchiaro in realtà, vengono agitati come bandierine per dimostrare la ricchezza di proposta, ma il primo è «troppo vecchio e fuori causa», la seconda «troppo giovane e pure donna».


La scelta in realtà è fra D’Alema e D’Alema, «pure il Cavaliere sarebbe garantito da lui meglio che da chiunque altro» dicono al Botteghino. E così Prodi ovviamente, che con Bertinotti alla Camera, Marini al Senato e D’Alema al Quirinale, «può dormire sonni tranquilli».

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