Fabrizio Cicchitto*
Il risultato del referendum in Francia, quello che si profila in Olanda, l'atteggiamento della Gran Bretagna sia sulla Costituzione europea sia sulla moneta dimostrano che c'è una questione grande quanto una casa e il peggio che si potrebbe fare sarebbe quello di far finta di niente.
Molti, non solo in Francia, non apprezzano una Costituzione europea che è un informe zibaldone di circa 400 articoli, ma specialmente non apprezzano affatto che l'Europa è diventata un'area di depressione economica: le due cose si intrecciano. Del resto su queste pagine già Vittadini aveva posto una serie di problemi tutt'altro che inventati. Abbiamo la sensazione che, a partire dal governo Andreotti-De Michelis che diede via libera all'adesione al trattato, le classi dirigenti di questo Paese, quelle politiche e quelle economiche, non si sono rese compiutamente conto di quale «rivoluzione» stessero innescando.
Fino all'adesione al trattato di Mastricht in Italia non ci sono mai stati né libera concorrenza né un'autentica economia di mercato. Forse c'era concorrenza e mercato nel settore dell'auto, nella chimica, nell'erogazione dei servizi, nell'edilizia e nelle opere pubbliche, nella siderurgia e negli acciai, nel settore bancario e delle assicurazioni? Non ci sembra proprio.
Le cose, però, non si sono fermate qui. La globalizzazione si è rivelata una cosa assai diversa da come lhanno descritta i neomarxisti e i liberisti assoluti. Invece di risolversi nel trionfo dell'Occidente e in una rinnovata spoliazione del Terzo Mondo essa è stata caratterizzata dalla più totale diversificazione allinterno dell'Occidente e all'interno del terzo mondo: da un lato gli Usa stanno avendo ritmi assai elevati di aumento del Pil (3,6%) e dall'altro India e Cina hanno ritmi travolgenti (intorno all'8-9%), l'Africa è al collasso, in mezzo l'Europa è nel migliore dei casi una zona di stagnazione o di bassissima crescita (intorno all'1-1,5%).
Se l'Europa sta da tempo in questa situazione di depressione una ragione derivante da Mastricht deve esserci. Del resto basta partire dal fatto che fino a poco tempo fa mentre il dollaro scendeva - e ciò si innestava su un'industria ad alto livello tecnologico come quella americana moltiplicandone la competitività - invece l'euro cresceva contribuendo a ridurre la competitività dell'industria europea. Tutto ciò si combina con la rigidità del patto di stabilità.
In questo quadro per varie ragioni l'Italia è uno degli anelli più deboli della catena ma certamente non per colpa del governo Berlusconi. Da anni l'Italia praticava sistematicamente l'aumento della spesa pubblica e le svalutazioni competitive per riequilibrare il sistema. L'industria italiana è piazzata essenzialmente sui settori maturi. Gli effetti di tutto ciò sono per un verso un elevatissimo debito pubblico, per altro verso il fatto che larga parte dell'industria italiana ha bassi livelli di produttività che derivano in primo luogo proprio dai limiti di una parte del nostro mondo imprenditoriale: del resto la storia della Fiat sta lì a testimoniarlo. A ciò si aggiungono le diseconomie esterne alle imprese: il credito, le infrastrutture, i servizi, il fatto che in Italia, per precise ragioni di potere, le privatizzazioni non si sono affatto tradotte in autentiche liberalizzazioni per cui chi oggi le gestisce usufruisce di superprofitti da monopolio con conseguenze catastrofiche sui costi delle imprese e del sistema nel suo complesso.
Per di più, alle origini di tutto, c'è il fatto, su cui è stato steso un velo di silenzio, che noi siamo entrati nella moneta comune accettando un rapporto di cambio, quello di 1 euro per 1936,27 lire, che era del tutto forzato, imposto dallasse franco-tedesco.
Che fare? Se non fossimo davanti a una sorta di incredibile feticizzazione del trattato di Mastricht per cui chi avanza critiche e propone cambiamenti è un euroscettico da mettere al bando, bisognerebbe rivedere il trattato in alcuni punti e contemporaneamente rivedere la politica monetaria (euro alto) e riesaminare la Costituzione europea: un po' di sano revisionismo non guasterebbe. Nell'immediato per quello che riguarda l'Italia, a nostro avviso, al di là di quello che si sta facendo (vedi decreto sulla competitività) si dovrebbe riprendere il piano di tagli alla spesa corrente che i partiti della coalizione avevano elaborato nella scorsa estate, aggiornarlo e renderlo più incisivo per trarne risorse volte a rendere più incisivo il provvedimento sull'Irap, per aumentare fortemente le risorse destinate alla ricerca, alle infrastrutture e al Mezzogiorno.
Rispetto a tutta questa tematica c'è la completa assenza della sinistra che è caratterizzata da una singolare contraddizione: per un verso essa è acriticamente acquiescente nei confronti del monetarismo della Bce e dei vincoli più stringenti del piano di stabilità, per altro verso in Italia sostiene aumenti di spesa pubblica per ogni settore in discussione. Una sinistra insieme monetarista e ultrakeynesiana è un altro dei mostri e delle anomalie che caratterizzano la vita politica italiana.
* Vicecoordinatore di Forza Italia
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