Non siamo alla guerra di religione ma il confine è alle viste. Non siamo alla divisione tra ghelfi e ghibellini ma il paragone suggestivo rende l’idea. Specie se si prende visione del fatto che il dibattito scatenato dal nuovo Milan avviene dentro il recinto del popolo rossonero, secondo un’antica e livida distinzione che si può storicamente rintracciare tra nostalgici sacchiani, legati alla rivoluzione dell’Arrigo e al suo calcio inimitabile, e incalliti capelliani dal religioso attaccamento al risultato col contestuale rifiuto dello spettacolo. É bastato dare un’occhiata distratta ai commenti dei tanti milanisti che, incassata la qualificazione di Auxerre, hanno cominciato a scrivere al canale rossonero, per prendere nota della curiosa disputa intestina.
L’ultima impresa di Ibrahimovic in quel di Borgogna infatti non ha smerigliato solo il rendimento strepitoso del gigante di Malmoe (leggere grafico annesso che segnala la sua resa accresciuta rispetto al passato, ndr) ma ha rilanciato la discussione: meglio il Milan dell’Arrigo o del primo Ancelotti, molto brasiliano e perciò dedito al palleggio e al controllo del gioco, oppure quest’altro Milan costruito sulla prima pietra di una difesa finalmente di ferro, così come piaceva a don Fabio, attuale ct d’Inghilterra e stratega degli Invincibili capaci di collezionare scudetti (4 in 5 anni), finali di Champions a ripetizione (tre di fila) e anche record d’imbattibilità (58 partite senza perdere, Sebastiano Rossi con 929 minuti)?
Proprio l’Arrigo, dai microfoni di Mediaset premium, ha messo da parte la recente incomprensione e ha manifestato l’ammirazione per le sue perfomances, fisiche e tecniche, schierandolo nella graduatoria mondiale appena dietro Maradona, «mai nessuno così decisivo dopo Diego» la frase. Seguita dall’ammirazione di Adriano Galliani, stregato dalla forza muscolare di Zlatan. «Martedì mattina sono passato dalla stanza dei massaggi e sono rimasto impressionato dalla massa muscolare di Ibra: è una montagna. In 25 anni di Milan nessuno mai, nemmeno il primo Gullit, aveva fatto registrare la sua stessa forza fisica. Chissà dove saremmo oggi senza i suoi gol» la confessione del vice-Berlusconi, poco interessato al dibattito sull’estetica. Piuttosto tutto proteso a raggiungere presto, e senza altre perdite, la sponda di fine dicembre. «Siamo contati in attacco» è la frase sibillina che anticipa il ricorso al mercato di gennaio da preparare entro Natale.
Le analogie tra questo Milan e quello di Capello cominciano a essere tante, analogie elettive in molti casi, forzate in molti altri. Capello perse per strada Van Basten, rimediò con Papin e Weah, riuscì a sopravvivere persino grazie ai rari gol di Simone e Savicevic. Max Allegri è uscito da Auxerre e invece di cantare le gesta del suo Ibra ha puntato su un’altra qualità. «É la terza partita chiusa senza subire gol» l’indicazione passata a microfoni e taccuini. Nesta e Thiago possono ricordare senza menare scandalo Baresi e Costacurta, mancherebbero all’appello Tassotti e Maldini (guai a chi avanza paragoni con Abate e Antonini). Persino Abbiati ha di fatto cancellato tracce di nostalgia legate per esempio al miglior Dida. 270 minuti (Inter, Fiorentina e Auxerre) senza subire gol è infatti un piccolo grande prodigio da parte di una difesa considerata fino alla sfida di Madrid un colabrodo, maltrattata da Cristiano Ronaldo.
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