Qui Juve Blanc: «Avanti con Ferrara». Ma per andare dove?

Ci manca soltanto Sandro Milo che strilla, stravolta, «Ciro, Ciro» e scappa via. A Torino nessun dramma anche se un napoletano sull’orlo della crisi farebbe tanto sceneggiata e lacrime finali. Ferrara Ciro sembra invecchiato di dieci anni, con la Juventus non gli riesce di passare ‘a nuttata, in tre giorni le ha buscate due volte e con lo stesso numero di gol, Bordeaux e Cagliari hanno scoperto i fili della sedicente signora signorina che è veramente in bianco e nero mentre altri vanno a colori.
L’anno scorso, oggi, Claudio Ranieri era il centro del bersaglio, qualunque cosa avesse fatto l’allenatore romano veniva considerata marginale, episodica, fortunosa e fortunata, il merito, semmai, andava ai giocatori. Un anno dopo, oggi, si ha paura di punire Ferrara e con lui chi gestisce la squadra. È stato singolare il silenzio della società, fino a ieri quando Blanc a domanda ha risposto che Ferrara non è in discussione, che qualunque possano essere i risultati delle prossime due partite con Inter e Bayern la fiducia nei confronti del tecnico non cambierà e il progetto andrà avanti. Quale progetto? Quello di essere fuori dalla lotta dello scudetto sei mesi prima della conclusione del campionato? Quello di essere fuori dalla champions già a dicembre? Il progetto, sostantivo pieno di tutto e di niente, alibi di parole per rinviare a data da destinarsi le risposte, quelle del campo. Non credo che l'eliminazione (basta un pareggio con il Bayern ma trattasi comunque e sempre del Bayern che ha le stesse voglie di «progetto») dalla champions non possa avere conseguenze «contabili» sulla società, sui suoi eventuali investimenti, sulla risposta degli sponsor. La distribuzione delle responsabilità è facile: alcune sopravvalutazioni, tecniche e contabili, in sede di campagna acquisti (Felipe Melo e Diego) e sottovalutazioni alla voce vendite (Zanetti e Marchionni) oltre all’incredibile epilogo del rapporto con Pavel Nedved; le idee confuse di Ferrara, mal supportato, ultime quelle che hanno visto alternarsi nello stesso ruolo, di esterno sinistro a centrocampo, nelle due partite con Bordeaux e Cagliari, prima Del Piero, poi De Ceglie, quindi Marchisio e infine Giovinco, senza un totale convincente e definitivo; infine le responsabilità individuali dei giocatori che non attraversano un buon momento di forma, dico Cannavaro e Del Piero, Amauri e Grosso e lo stesso Buffon che si trascina scioccamente il pensiero dell’intervento chirurgico, senza trascurare il numero di infortuni (Iaquinta, Sissoko, Marchisio, Del Piero, Trezeguet, Cannavaro, Zebina, Molinaro) che ha condizionato il lavoro di Ferrara.
Il riassunto non basta a giustificare l’incostanza di risultati ottenuti dalla squadra che, dopo un avvio promettente, ha smarrito la sicurezza e l’autorevolezza che da sempre hanno fatto parte della sua identità. Le indicazioni dovrebbero preoccupare non soltanto Ferrara ma anche Lippi che sul nucleo juventino ha costruito la sua squadra nazionale. L’ombra dello stesso cittì mondiale non aiuta certamente il lavoro di Ferrara che sembra un allenatore di passaggio, ad interim, e anche su questo aspetto viene a mancare la voce autorevole della società, nella persona del suo massimo dirigente. Il ruolo di Jean Claude Blanc, al di là del mandato presidenziale, dovrebbe prevedere anche l’assunzione di responsabilità nella gestione delle difficoltà, non soltanto dei successi e dei meriti imprenditoriali (stadio e altre attività finora illustrate).
La Juventus non è «di Ferrara» non per colpa esclusiva di Ciro ma per la complicità di giocatori (il gruppetto brasiliano sembra fare storia a sé, nonostante baci, abbracci e risate) e l’impalpabilità della dirigenza, dico della sua influenza e del suo carisma nello spogliatoio. Il terzo posto attuale, alla vigilia della partita con l’Inter, rischia di diventare il traguardo massimo augurabile. Anche un’eventuale vittoria sui campioni d’Italia non muterebbe il quadro clinico della squadra, a tre giorni dalla sfida più seria contro i bavaresi. Illudersi non costa niente, sognare anche ma la storia va confortata dai fatti e dalle grande personalità.

Questa Juventus (e con lei il suo allenatore) non insegue nessuno. Da tre anni sta inseguendo soltanto se stessa. Il fantasma di una realtà, imprenditoriale, famigliare e sportiva che non esiste più. Il resto lo chiamano «progetto».

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