Quirinale, Marini si chiama fuori: il mio posto è a Palazzo Madama

Il presidente del Senato è costretto a smentire il suo interesse per il Colle dopo l’offerta avanzata dal leader Udc Pier Ferdinando Casini

Gianni Pennacchi

da Roma

Acciocché si potesse credere che la sera prima i cani s’eran sciolti da soli - di Maurizio Fistarol, Beppe Fioroni, Enzo Carra e rutelliani vari intendiamo, affrettatisi a correr dietro i polpacci di D’Alema subito dopo il gran rifiuto del presidente Ciampi - ier mattina Franco Marini ha convocato una conferenza stampa per annunciare coram populo nel salone d’onore di Palazzo Madama che quanto ha avuto gli basta e avanza, lui non è minimamente interessato al Quirinale, ed anzi il suo candidato «personale» è Massimo D’Alema. Ad una grande adunanza di giornalisti e telecamere, il neo presidente del Senato ha tenuto a precisare che tale e tanta convocazione s’era determinata per «quanto ho letto sui giornali». Che riguardava non soltanto le sortite dei suoi fedelissimi, ma anche l’intervista dell’«amico» Pier Ferdinando Casini che lo lanciava quale candidato al Quirinale onde lasciare la presidenza del Senato all’opposizione.
Insomma, un gioco triangolare della miglior tradizione democristiana. Promuovere infatti sulla prima pagina di un giornale nazionale il nome del candidato altrui più gradito a Silvio Berlusconi significa gelarli entrambi. Che quei petali della Margherita si fossero mossi contro D’Alema all’insaputa di Francesco Rutelli e di Marini, nessuno mai lo crederebbe. Dunque a Marini non restava che una pubblica dichiarazione di fede. Venuta anch’essa in stile democristiano. E sapete, come vanno queste cose antiche e consolidate. Se persino Pietro rinnegò per tre volte Nostro Signore, chi lapiderà Franco? La scuola scudocrociata vuole che più le dichiarazioni suonano cristalline e più nascondono insidie, se senti prometterti dall’«amico» tre cose, due sono certamente a termine e rimangiabili. Il problema, è indovinare quale sia l’unica vera e affidabile.
Anche Marini ieri ha detto tre cose, «chiare e brevi». Con la prima, ha sottolineato di esser stato appena eletto «ad un incarico difficile ma esaltante», s’è già impegnato in questo «lavoro duro» che intende «portare avanti», dunque: «Io non sono candidato e non sarò candidato ad altri impegni politici, ad altre cariche e alcunché. Sono stato eletto al Senato ed ho intenzione con serietà e senza tatticismi di continuare a svolgere il mio lavoro al Senato». Più cristallino di così, effettivamente non poteva risuonare.
La seconda lo era meno, e sovrabbondante di ecumenismo. «Sono convinto», ha scandito, «che in un Paese che ha vissuto una campagna elettorale aspra e che ha dato un risultato chiaro tra chi è maggioranza e chi è minoranza, solo uno sciocco può non capire che il Paese è sostanzialmente diviso a metà: l’occasione dell’elezione del Capo dello Stato deve essere colta con un grande sforzo di unità». Naturalmente le scelte «spettano alle forze politiche delle due coalizioni», e lui è «legato alle decisioni e alle indicazioni che darà l’Unione», ma insiste: «Solo chi non capisce, può passare sopra alla necessità di uno sforzo unitario», il Paese «ne ha bisogno, vi sono urgenti scadenze di tipo internazionali che impongono un impegno forte dell’azione di governo. Il successo di riuscire a coinvolgere maggioranza e opposizione nella elezione del Capo dello Stato sarebbe un passo fondamentale per migliorare i rapporti politici, sdrammatizzare la situazione e creare condizioni in cui si possa governare con una discrezione maggiore». Stavate deducendone un no a D’Alema dunque?
Frenate, perché in terza ed ultima battuta ecco «il giudizio del senatore Marini», quello «personale»: «Si parla della candidatura per il Quirinale dell’onorevole D’Alema... Io personalmente ritengo che un uomo come D’Alema abbia le caratteristiche, la statura, l’esperienza della massima azione di governo che ha ricoperto ed ha svolto, per cui si possa pensare ad un uomo come lui quale persona che possa arrivare a questo sbocco unitario.

Naturalmente se fossimo capaci di lasciare alle nostre spalle le scorie dello scontro ideologico del ’900, guardando alle realtà nuove che ci sono in Europa e nel nostro Paese».
Qual è il messaggio? Lo si capirà compiutamente lunedì, meglio ancora mercoledì quando si passera alla maggioranza raggiungibile. Intanto, non si dimentichi che D’Alema era comunista.

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