Napoli - Il vigile del fuoco Mimmo Vituat sta steso con la flebo nella vena su una barella di ospedale dove gli hanno detto che passerà la notte (perché, ovviamente, i letti veri sono tutti occupati), si massaggia la faccia pallida e dice con un filo di voce: «Siamo disarmati. Non possiamo farci niente». Parla della città che brucia nella notte, delle montagne di immondizia date alle fiamme in tutta la periferia. E parla naturalmente del mucchio che bruciava in via Stadera, nel cuore di Poggioreale, e che gli è esploso in faccia mentre lo stava spegnendo insieme ai colleghi. Si è ritrovato faccia sull'asfalto, a tremare e a delirare con le orecchie che gli fischiavano. È rimasto sull'asfalto un quarto d'ora prima che arrivasse l'ambulanza. Venti metri più in là, il branco dei guappi del quartiere si godeva la scena chiacchierando e ghignando, e tra di loro magari c'era chi aveva dato fuoco al mucchio, magari anche chi nel mucchio aveva lasciato i botti di Capodanno esplosi addosso al pompiere Vituat.
La storia dell'emergenza rifiuti a Napoli è anche la storia di chi sta in trincea. Dei celerini che si alzano alle due per andare a forzare nelle tenebre il blocco della discarica di Pianura. Dei carabinieri, delle Volanti, delle ambulanze impegnati nelle centinaia di pezze da mettere a questo disastro. E soprattutto dei pompieri del comando di piazza Tarantini, che di questa emergenza devono fronteggiare il lato più surreale: quello di una popolazione che per protesta decide di autoavvelenarsi appiccando fuoco a mucchi di spazzatura che contengono di tutto, e che riempiono le strade di un fumo acido. «Non mi capacito - dice Salvatore Ferraro, trentadue anni di incendi sulle spalle - è come se non capissero che con gli incendi il disastro spazzatura diventa dieci volte più grave, e che a pagarne le conseguenze sono loro».
Eppure gli incendi non si fermano. Ottanta l'altra notte, cento ieri. Un'ora passata nella centrale operativa del 115 è il racconto di una città impazzita, i telefoni che suonano in continuazione, brucia Arzano, brucia Ercolano, brucia Secondigliano. «Chesta è 'na guerra»: e al vigile Gigi Fioretti cascano le braccia, al centesimo napoletano che chiama e sbraita e insulta perché l'autobotte ancora non si vede. Fuori a bruciare è la Napoli vera, non quella del ridotto luminoso di Toledo e di piazza dei Martiri, sempre più assediato, ma quella dei quartieri popolari, delle banlieu disperate e degradate. È lì che devono avventurarsi le autopompe rosse dei pompieri. Ed è lì che li aspettano agguati come quello che ha investito Vituat: «Non voglio credere - dice il comandante Bonessio - che siano gesti fatti apposta per farci male. Ma è sempre così. All'altra emergenza rifiuti, nei mucchi di spazzatura incendiata c'erano persino le bombole cariche di gpl».
Così ai pompieri e ai poliziotti tocca dannarsi l'anima, tra riposi che saltano e turni di ventiquattr'ore, per salvare gente da cui non si sentono amati e che non ricambiano. E in quella malabolgia che è l'astanteria del San Giovanni Bosco, l'ospedale dove hanno ricoverato il vigile ferito, a un medico di un'autolettiga scappa - quando gli raccontano dell'immondizia esplosa - un «Salviamo gente che non se lo merita» che la dice lunga sull'aria che tira.
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