Il racconto dell’inviato del «Corriere della Sera», fermato ed espulso dall’Avana: «Gli uomini di Saddam ci trattavano meglio di quelli di Castro» «A Cuba sono rimasto 22 ore senza acqua»

Protesta ufficiale del governo spagnolo per l’allontanamento dei suoi deputati. E Fidel parla d’altro

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Claudio De Carli

nostro inviato a Malpensa
«Ero anch’io fra quelli che fino in fondo proprio non ci credevano, ma a L’Avana ho ricevuto un trattamento molto ostile, molto più rude che in Irak nonostante lì ci fosse una situazione di guerra». È il primo commento di Francesco Battistini, inviato del Corriere della Sera sequestrato da Fidel per circa 22 ore. Ieri alle 17,30 è rientrato in Italia con un volo Air France, grande serenità, racconto della sua esperienza spiegato nei minimi dettagli: «In un primo tempo pensavo si sarebbe chiuso tutto in poche ore, poi ho iniziato a temere mi facessero qualche strano giochino, tipo mettermi qualche polverina illegale nella valigia, eventualità che avrebbe complicato non poco la mia situazione. Lì la polizia mi è sembrata molto preparata a fare pressioni psicologiche sui fermati, la situazione è assai difficile, i dissidenti, soprattutto gli intellettuali, sono costretti a vivere in fabbriche dismesse, a qualcuno hanno perfino ritirato la razione per ricevere gli alimenti e molti, come la suocera dell’organizzatore dell’incontro fra gli anticastristi, non può neppure uscire dal proprio quartiere».
Battistini era arrivato a Cuba giovedì alle 16, ora locale, per prendere contatti con alcuni dissidenti del regime di Fidel Castro e per intervistare Oswaldo Payà, leader storico del dissenso cattolico a L’Avana. «Credevo nella sensazione di un regime più gentile. In realtà è di una durezza notevole. Mi ha colpito vedere come vivono tutti i giorni questi dissidenti. Chi rimane lì è un eroe, lo fa per motivazioni serie, altrimenti il regime incoraggia gli intellettuali dissidenti a partire». In questi giorni nella capitale cubana si sono svolti i lavori e in particolare un’assemblea per promuovere la società civile. Appena giunto sull’isola, Battistini ha allacciato subito i primi contatti. Questo è il racconto delle sue 22 ore in mano ai gendarmi di Fidel: «Ho preso contatti con dissidenti ma anche con altre persone, il vero problema è che a Cuba c’è una situazione di continuo sospetto. Anche fra gli stessi dissidenti. È sufficiente che un detenuto politico abbia fatto tre mesi di carcere in meno di un altro per essere subito tacciato di collaborazionismo con il regime. Alle 23 sono rientrato in albergo, dopo pochi minuti ho ricevuto una chiamata dalla reception che si è subito scusata, dicendomi che avevano sbagliato interno. Ho realizzato subito che volevano sincerarsi fossi in camera. Dopo tre minuti sono entrati tre agenti della sicurezza, mi hanno dato poco tempo per fare il bagaglio, ho dovuto spegnere subito il cellulare e mi hanno portato in una struttura della polizia».
Qui sono iniziati gli interrogatori. Gli agenti cambiavano in continuazione, Battistini racconta che non gli veniva offerta neppure acqua da bere: «Se la vuoi, comprala, mi hanno risposto. Mi accusavano di aver violato la legge sull’immigrazione e di aver avuto contatti illegali. Non so chi mi abbia denunciato, credo ci fosse uno screening di tutti gli alberghi, sapevano che ero un giornalista e volevano conoscere le mie fonti a L’Avana».

Nessun contatto con l’ambasciata italiana, con i parenti o con il suo giornale: «Mentre ero in branda sono riuscito a mandare un sms: arrestato. Il resto lo conoscete». A notte fonda gli hanno detto che sarebbe stato imbarcato su un volo per Parigi, ieri il suo rientro in Italia e la conferma che il paradiso del líder máximo è ormai caduto sulla terra.

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