Mariateresa Conti
da Enna
«Caino ha sparso ancora una volta il sangue di suo fratello. Non sta a noi giudicare o fare giustizia. Agli inquirenti diciamo di fare al più presto luce su questo omicidio, perché questo corrisponde al desiderio di una società che deve sempre rifiutare la violenza e lo spirito di vendetta».
Sono parole quasi profetiche quelle che il vescovo di Piazza Armerina Michele Pennisi pronuncia, nella chiesa madre di Barrafranca, di fronte alla bara bianca del piccolo Francesco Ferreri, il ragazzino di 13 anni ucciso con violenza inaudita, almeno 15 colpi alla testa. Proprio mentre nella chiesetta stracolma tutta Barrafranca gli dà l'addio diventa ufficiale la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone: due minorenni e due adulti, con ogni probabilità - la notizia non è stata confermata ufficialmente - i due fratelli di 13 e 15 anni e i rispettivi padrini di cresima su cui sin dall'inizio si è concentrata l'attenzione degli investigatori. «Un atto dovuto», spiegano gli inquirenti, considerato che è necessario compiere ulteriori accertamenti - le analisi sulle tracce di sangue sui pantaloni di uno degli indagati - impossibili senza un'ipotesi di incriminazione formale. Al vaglio degli investigatori anche la posizione di una quinta persona, una donna, che mercoledì sera è stata ascoltata a lungo anche se solo in qualità di «persona informata dei fatti». La sua testimonianza avrebbe fatto luce sugli ultimissimi passaggi della vita di Francesco, quelli tra l'uscita precipitosa da casa senza neanche prendere il telefonino e il giubbotto, e l'arrivo nel luogo dove Francesco è stato brutalmente trucidato a colpi - sembra - di martello da carpentiere.
C'è tutto il paese a salutare Francesco per l'ultima volta. Tutti, tranne i due giovanissimi indagati - un compagno di doposcuola della piccola vittima e il suo fratello maggiore - e la loro mamma. La donna e i suoi tre figli - c'è anche una bambina - sono stati trasferiti in gran segreto lontano da Enna, in un paesino top-secret della provincia di Catania. Troppo pesante, ormai, per loro, il clima in un paese dove, sottovoce, si sa tutto di tutti e che li ha già condannati, prima ancora dell'incriminazione ufficiale.
Straziante, l'addio a questo giovanissimo ucciso, sembra, per punizione, perché si era ribellato a tentativi di violenze, perché aveva rivelato ai genitori quali erano i motivi della sua paura rispetto a quel compagno. C'è voluta più di mezzora perché la bara, coperta da rose bianche e da una sciarpa della Juve, riuscisse a raggiungere la piccola chiesa, a soli 400 metri dall'abitazione della famiglia Ferreri. In prima fila, sfiniti dal dolore, il padre, Giuseppe, la mamma, Anna, il fratello Angelo, gli zii, che hanno portato in spalla la piccola bara, i parenti. E poi gli insegnanti, i compagni di scuola, gli amici. A sorpresa, sono arrivate anche numerose autorità, a cominciare dal presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro. «Ho voluto essere presente - spiega il governatore dal pulpito, dopo l'omelia del vescovo - per testimoniare la mia solidarietà e quella di tutti i siciliani a una comunità colpita da un così efferato delitto. Ci troviamo di fronte ad un atto di inaudita violenza, e proprio per questo speriamo che gli autori di un gesto così empio e scellerato vengano assicurati al più presto alla giustizia».
Parla anche il sindaco del piccolo comune ennese, Salvatore Marchì, la preside della scuola media frequentata da Francesco. Ma il momento più toccante è il ricordo tracciato da una ragazzina di 13 anni, compagna di classe della vittima. Un ricordo straziante, la voce rotta dal pianto di fronte a quella piccola bara bianca.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.