Ragioni per il Politecnico

Il sogno di inizio ’900 di scorporare la facoltà di Ingegneria per renderla al passo con i tempi può essere ripreso ai nostri giorni

Ragioni per il Politecnico

Nel 1815 la Repubblica di Genova tenta di resistere all’annessione al Regno di Sardegna imposta, con il congresso di Vienna, dalle potenze vincitrici di Napoleone.
Resistenza vana e disperata! Anche l’Università di Genova, ebbe il «grazioso, verbale, beneficio», da parte di Vittorio Emanuele I, di mantenere i privilegi, ai sensi dell’art. 14 del protocollo di Vienna, di quella di Torino. Tuttavia la legge Matteucci, del luglio 1862, classificava l’Ateneo genovese tra le Università secondarie pur nella indignazione della cittadinanza genovese.
Lorenzo Pareto, ex ministro del Regno di Sardegna, in Consiglio Comunale aveva perorato iniziative per ottenere, dal Governo del Regno, concessioni per il riconoscimento dell’Ateneo a Università di 1ª classe. Solo dopo molto tempo e per iniziativa del senatore Cesare Cabella, rettore, fu costituito un Consorzio Universitario, da Provincia e Comune di Genova, per aumentare cattedre e dotazioni universitarie a Genova al livello degli atenei di prima classe e per promuovere il pareggio, di diritto, dell’università alle Università Primarie. Nel dicembre 1885 l’Università di Genova ottenne, con legge, il pareggiamento alle Università di 1ª classe. Con il pareggiamento, nell’Ateneo Genovese, venne anche istituito il 1° anno della Scuola di applicazione per ingegneri, perché la «città era circondata da officine dove fanno capo le maggiori imprese della penisola» mentre la Rssn, già istituita operava per la formazione di ingegneri navali e capitani navali. Nel 1912 il Rettore Maragliano preconizzava la creazione di un grande Politecnico che associasse alla Scuola di applicazione per Ingegneri gli insegnamenti della Rssn e dalla Facoltà di Scienze, per fisica e matematica. Nel maggio 1918 in Aula Magna venne nominato, per invito del Rettore Fedozzi, il Comitato promotore per la Costituzione del Politecnico di Genova, al quale vennero chiamati Senatori e Deputati liguri, rappresentanti degli enti locali e della Provincia di Genova e Porto Maurizio, di Associazioni, Banche, Società di Navigazione, Industrie, Commercio e Finanza e Direttori dei giornali.
Si presumeva che l’attuazione del progetto Politecnico comportasse la spesa di 2,5 milioni per la costruzione dell’edificio e dei laboratori e di 250mila lire di dotazione annua per i mantenimento, tenuto conto del reddito di almeno 100mila lire dalle tasse scolastiche e di 164mila lire già impegnate per la Rssn.
Il comitato promotore, in adunanza nel luglio 1918, registrava cospicue offerte da parte di industriali liguri e l’impegno della civica amministrazione a favorire la creazione di una importante «scuola superiore politecnica per preparare i giovani ai vari rami della tecnica e dell’industria» in Genova. Ed infatti nel marzo 1919 il Consiglio Comunale deliberava l’acquisto, per 1,725 milioni della villa Giustiniani-Cambiaso ove, intanto, si sarebbe trasferita la Rssn, in attesa di trovarvi sede il Politecnico anche con altre costruzioni adiacenti. Il riattamento e la sistemazione funzionale della villa e l’ampliamento e sistemazione per la Rssn e il Politecnico impegnarono altri 1,870 milioni a carico del pubblico bilancio. Le somme versate da privati, una tantum, per spese di impianto e mantenimento furono 500mila lire, mentre altre somme furono disposte da Credito Italiano, Cciaa, Carige. 28mila lire annue erano i contributi continuativi di Carige e dei Comuni di S.P. D’Arena, Sestri Ponente, Cornigliano, Voltri, Nervi, della Provincia e della C.C. di Porto Maurizio.
Il periodo tragico del dopoguerra tarpò le ali alla speranza di costituzione del Politecnico, anche la decadenza del contributo di 1 milione al quale si era impegnata la ditta Ansaldo. In attesa di tempi più propizi venne così istituito il corso di laurea in ingegneria civile come 1ª sezione di un futuro Politecnico di Genova che tuttavia non si è mai realizzata.
Le vicende riportate indicano che la città di Genova e i suoi dirigenti responsabili hanno avuto, ai primi del ’900, coscienza e determinazione nel prevedere la necessità di una scuola di formazione superiore per ingegneri e tuttavia non sono riusciti a operare come è successo in altre realtà italiane, Torino e Milano in primis.
Recentemente Genova, da terzo significativo vertice del triangolo industriale italiano, è divenuta area, ancora non definita, di attività polifunzionali nei servizi, nell’industria, nel comparto marittimo portuale.
La Facoltà di Ingegneria della università ligure ha subito e/o attuato modifiche organizzative e culturali di fatto del tutto sconnesse con il sistema produttivo industriale di riferimento, nel più evidente disinteresse di parte dei decisori e operatori liguri, del tutto incongruenti con il trend demografico e sociale del territorio sul quale opera.
Le contraddizioni insite in una tale situazione sono evidenti e dovrebbero imporre, agli accademici ed ai responsabili della società civile e politica genovese, valutazioni su nuovi programmi culturali ed organizzativi per la formazione superiore degli ingegneri e dei tecnici di cui si sente la necessità nel prossimo futuro.

Dunque perché non riprendere l’impiego dei vecchi genovesi, con la stessa serietà ed onestà di intenti ed istituire un Comitato Promotore di un nuovo Politecnico di Genova? Operare per istituire un «Ateneo Ligure di Economia e Tecnologie», scorporando dall’università di Genova l’attuale facoltà di Ingegneria , sarebbe un’operazione culturale ed aziendale di grande rilievo.
*ingegnere

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