Roma

Un razzo incendiario a Castelfusano

Stefano Vladovich

Il vento di scirocco, questa volta, ha evitato il dramma. Altri 100 metri, difatti, e un razzo pieno zeppo di esplosivo lanciato dai margini di Castelfusano, avrebbe oltrepassato la macchia e incenerito gli alberi. Solo per caso, dunque, l’ordigno sequestrato dalla Guardia Forestale non ha innescato un rogo di proporzioni gigantesche.
Ecco la nuova arma per distruggere la pineta più amata dai romani: un tubo metallico di 18 centimetri di lunghezza, 5 di diametro, riempito con polvere da sparo e altro materiale esplosivo, completo di detonatore e paracadute direzionale. È stato sparato mercoledì pomeriggio dalla campagna tra il Canale della Lingua e la zona «Bella Signora» a ridosso di via del Circuito, con una specie di mortaio, un lungo tubo di quelli utilizzati per gli spettacoli pirotecnici.
Un episodio inquietante, l’ennesimo, su cui da 48 ore indaga la Dda, la Direzione Distrettuale Antimafia. «Siamo stati allertati da alcune persone che hanno sentito un forte boato - spiegano gli agenti del Nipaf, il Nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale - accorsi sul posto abbiamo trovato il razzo. Un ordigno artigianale e rudimentale ma efficace, realizzato comunque da un esperto. L’urto al suolo, infatti, ha innescato il piccolo detonatore e appiccato il fuoco. Fortunatamente si sono incendiate le sterpaglie attorno e basta. Il forte vento di scirocco di ieri (mercoledì per chi legge, ndr) ha rallentato la sua corsa e impedito di superare un gruppo di rovi che delimita la pineta. Altrimenti le fiamme avrebbero investito pini e macchia mediterranea».
Gli uomini della Forestale, oltre a mettere sotto sequestro il razzo e sottoporlo ad analisi di laboratorio per accertare l’origine dei componenti, hanno effettuato i rilievi nell’area coinvolta per stabilire la direzione e, soprattutto, il punto di lancio. Una zona sicuramente a poca distanza dal luogo del ritrovamento. Nessun testimone oculare, purtroppo, anche se sono stati in molti a sentire la deflagrazione.
«Il fatto è avvenuto attorno alle ore 16 - continuano a spiegare gli inquirenti - sicuramente da una distanza al massimo di poche centinaia di metri -. I piromani non hanno calcolato che il forte vento che spirava da sud avrebbe rallentato la corsa a tal punto da mandare tutto a monte».
Il caso è stato accorpato dalla Procura antimafia al fascicolo riguardante altri episodi su cui la magistratura indaga da mesi. Come il sabotaggio, il primo giugno, di una delle due vasche di raccolta dell’acqua per i mezzi antincendio, tagliata poche ore prima del mini-vertice di Pantano con il prefetto di Roma e l’assessorato regionale all’ambiente.
A cinque anni dal maxi-rogo che ha distrutto 380 ettari della riserva statale i piromani colpiscono ancora: 7 focolai appiccati in poche ore, il 30 giugno scorso, mettono a dura prova uomini e mezzi della Protezione civile e del servizio giardini del Comune di Roma. Sempre quando le condizioni meteo sono simili a quelle del 4 luglio 2000: caldo record e forte vento di scirocco.


Allora i criminali piazzarono una serie di inneschi lungo la direzione del vento che svilupparono una lingua di fuoco che tagliò in due la Cristoforo Colombo e arrivò fino a Ostia Antica radendo al suolo centinaia di pini, lecci e farnie secolari.

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