Notizione. La «monarchia quirinalizia» sta cominciando ad andare di traverso agli italiani. Pare incredibile, ma se vogliamo ancora credere nei sondaggi, è proprio così. L'Istituto demoscopico Ixè, in esclusiva per Agorà , inchioda il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al 39 per cento. Il che significa che dalla sua rielezione del 20 aprile 2013, King George ha perso la bellezza di 22 punti percentuali (allora era al 61 per cento di gradimento). Tanta roba.
Va ancora peggio se pensiamo che nel 2011, prima che il governo Berlusconi rassegnasse le dimissioni, la fiducia degli italiani nei confronti di Re Giorgio era bulgara, oltre il 90 per cento. Un crollo lento, ma inesorabile, che oggi assume le proporzioni di un sisma. Una disfatta che evoca conseguenze politiche irrevocabili circa la sua permanenza al Colle e le sorti dell'attuale governo.
Come si dice, «chi è causa del suo mal pianga se stesso». Dal 2011 ad oggi Napolitano ne ha combinate di tutti i colori. Ogni sua decisione si è rivelata un azzardo, e se lo Stato oggi versa in condizioni di incertezza e di miseria, lo si deve anche ai suoi errori politici. È un dato di fatto e i sondaggi lo evidenziano. Nel novembre 2011 ha premeditatamente disarcionato Silvio Berlusconi facendo piombare il Paese nel buio. Ha incoronato Mario Monti, il peggior presidente del Consiglio della storia repubblicana. Dopo 17 mesi lo ha sostituito con Enrico Letta, la cui medicina per risanare i conti ha avuto l'effetto dell'acqua fresca. Dopo 9 mesi l'ha rimpiazzato con l'astro nascente della politica, Matteo Renzi. Nessuna di queste tre illuminazioni si è rivelata giusta.
A ben vedere il suo declino è cominciato proprio con l'appoggio incondizionato a Monti. Nel novembre 2012, infatti, il 53 per cento degli italiani considerava negativa l'attività del capo dello Stato. Ad aprile 2013 viene rieletto con il 73 per cento del Parlamento, percentuale che non trova però riscontro nel gradimento nel Paese, fermo al 55 per cento. Pochi mesi dopo ancora un crollo al 43 per cento con Letta al governo. Ad agosto di quest'anno tocca il minimo storico arrivando al 37 per cento. Poi il sondaggio di ieri. I conti sono presto fatti. Per causa sua il Parlamento è fermo alle elezioni del febbraio 2013, dal 2008 l'Italia non ha un presidente del Consiglio eletto dal popolo e dopo la sua rielezione si è impuntato a non sciogliere le Camere nemmeno sotto minaccia. Ma, forse, da oggi il vento è cambiato. La figuraccia che sta facendo il governo per la mancata elezione dei giudici della Corte costituzionale, arrivata alla tredicesima fumata nera, aggiunge ulteriore peso sul groppone del capo dello Stato, stanco di soppesare un tale fardello. È sempre più preoccupato per l'«annuncite» di Renzi col quale gli attriti sono palpabili.
Dopo aver spento la sua 89esima candelina, Napolitano avrebbe voluto lasciare, ma la scarsa concretezza dimostrata dal governo da lui avallato, e l'impossibilità di votare un suo successore, non gli permettono ancora di ritirarsi. Non è passato inosservato che proprio ieri, giorno del sondaggio nero, Napolitano abbia ricevuto al Quirinale il professor Stefano Rodotà, ufficialmente «per uno scambio generale di vedute su problemi politici e culturali del momento». Proprio quel Rodotà che nel 2013 era stato scelto dal Movimento Cinque Stelle come candidato al Colle, votato da Sel e da alcuni esponenti del Pd, che poi ripiegarono sullo stesso Napolitano. Strane coincidenze.
Re Giorgio era una
risorsa, un osannato padre della Patria. Oggi la sua permanenza al Colle è diventata un problema e le dimissioni da lui stesso annunciate sono una spada di Damocle sul Parlamento. E così la Repubblica finisce in un vicolo cieco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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