La Regione tradisce l’intesa: la necropoli resta ai vandali

nostro inviato a Cagliari

Il colle di Tuvixeddu, alle porte della città, è un’area povera e degradata. Nel 2000 era stata raggiunta un’intesa per il risanamento: sarebbe stato l’intervento urbanistico più importante di Cagliari. Due accordi di programma erano stati firmati da Comune, Provincia, Regione, ministero dei Beni culturali, privati. Tutti d’accordo. I lavori erano già cominciati, finanziati anche dalla Regione; cospicui capitali erano stati investiti. Ma un giorno il governatore Renato Soru ha deciso che lì si doveva fare come diceva lui. Ora è tutto fermo.
I 43 ettari di Tuvixeddu sono una vecchia area industriale che include una necropoli punica con centinaia di tombe a pozzo. Anni fa la zona era stata espropriata dal Comune di Cagliari per costruirvi case popolari, realizzate senza molti servizi. Tar e Consiglio di Stato decretarono l’illegittimità dell’esproprio e stabilirono che i proprietari del terreno avevano subito un danno di circa 80 miliardi di lire. Gli accordi di programma erano vantaggiosi per tutti: il Comune versava solo 43 miliardi per realizzare un parco archeologico-urbano con annesso museo; i privati avrebbero edificato case, uffici, negozi, servizi pubblici per 400mila metri cubi (il Prg ne consentiva 600mila). L’area verde rappresentava il 61 per cento del comprensorio. «La zona era piena di sbandati, regnavano droga e prostituzione - ricorda Giuseppe Cualbu, amministratore delegato di Coimpresa, la società coinvolta nell’operazione -. C’era gente che viveva nelle tombe e il cimitero era in mano ai vandali. Le case popolari erano un disastro». Il cantiere del Comune aprì nel 2005, quello dei privati pochi mesi dopo. «L’8 agosto 2006 ritirammo due concessioni edilizie - continua Cualbu -. Ma il giorno successivo la Regione dichiarò di “notevole interesse pubblico” l’area e firmò un decreto di inedificabilità. Un vincolo che si aggiungeva a quello esistente dal 1997, pienamente rispettato dalle opere decise in accordo con la Soprintendenza».
La Regione aveva bloccato i lavori che in precedenza essa stessa aveva approvato e finanziato. Da allora è stato un accumularsi di carte bollate, licenziamenti e cassa integrazione. Il 15 novembre il Tar doveva discutere il ricorso di Coimpresa, ma il 14 la Regione revocò i decreti di agosto: dissero che si applicavano le norme del Piano paesaggistico. Nel gennaio 2007 hanno avviato le pratiche per apporre un altro vincolo, poi confermato in agosto. «Hanno persino ignorato le lettere dei loro funzionari che paventavano un possibile abuso in atti d’ufficio», dice Cualbu. Fermi i lavori del parco, fermi gli scavi per una nuova strada, ferma la bonifica dell’area. Le ditte che lavorano per conto del Comune prevedono una penale di 600mila euro al mese. Coimpresa freme. «È un enorme spreco di denaro pubblico - denuncia Cualbu -.

Contro di noi c’è una serie interminabile di atti intimidatori e diffamatori, già in parte dichiarati illegittimi, messi in atto da una Regione che usa la sua forza e le sue risorse economiche non per il bene pubblico ma per contrastare uno dei maggiori contribuenti della Sardegna».

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