Regioni Pdl e finiani a tenaglia: doppio assalto alla manovra

RomaPresidenti di regione Pdl da una parte, finiani dall’altra: l’assalto alla manovra Tremonti parte dall’interno della maggioranza.
La bandiera delle Regioni in rivolta contro i tagli l’ha presa ieri il lombardo Roberto Formigoni, quello che - nella conferenza stampa indetta dai governatori ieri a Roma - ha usato le parole più dure. «La manovra va cambiata», perché così com’è rischia di essere «incostituzionale», visto che alle Regioni «vengono tolti i soldi ma non le funzioni». Il governo si sta mostrando «un padre sciammannato», che punisce «il figlio virtuoso che ha diminuito il proprio debito, ossia le Regioni, mentre lui che ha speso di più non viene gravato».
E mentre Formigoni sparava a zero, denunciando che la manovra «uccide nella culla» il bambino del federalismo fiscale e prendendosi gli applausi di Pd e Cgil, una ventina di parlamentari finiani si riunivano a Montecitorio per preparare quella che annunciano come una vera e propria «contro-manovra». Sarà l’economista e senatore Mario Baldassarri a mettere nero su bianco un pacchetto «significativo» di emendamenti con cui gli uomini vicini al presidente della Camera intendono dare battaglia. Battaglia di merito, perché come sintetizza un partecipante alla riunione la manovra è giudicata dall’ala finiana del Pdl «troppo anti-Sud, anti-Roma, anti-precari e anti-cultura», e per questo va modificata «pur senza toccare i saldi, perché non vogliamo certo deviare dalla linea del rigore». Ma anche una battaglia di metodo: perché la guerriglia sulle intercettazioni proseguirà, ma con ridotti margini di incidenza per la minoranza Pdl. Mentre eventuali successi sulla manovra economica avrebbero un peso specifico assai maggiore, consegnando ai finiani il ruolo di contraltare all’asse Tremonti-Lega. O almeno questa è la lettura politica con cui, da quelle parti, si spiega l’input finiano ad attrezzarsi con determinazione sul fronte della «contromanovra». Il Secolo di ieri già segnalava la nuova scala di priorità, invitando a «rimettere al centro», affrontando subito il decreto Tremonti in Parlamento, «il confronto politico sui contenuti, l’unico in grado di superare la logica forsennata tra guelfi e ghibellini».
La riunione di ieri è servita per ora a individuare i filoni di intervento su cui costruire gli emendamenti, che poi verranno presentati ufficialmente in una conferenza stampa. Ma che già ieri sera, nel vertice di maggioranza al Senato, sono stati annunciati a grandi linee a Tremonti. Tagli più selettivi e meno «orizzontali», perché «serve il coraggio di operare una scelta tra i settori da premiare con maggiori risorse e le sacche di spesa improduttiva e assistenziale da aggredire», si spiega. Se Baldassarri caldeggia un freno più mirato e deciso alle spese per acquisto di beni e servizi della Pubblica amministrazione, e la cedolare secca del 20% sugli affitti, c’è stato chi (Buonfiglio, Urso, Bocchino) ha chiesto di dare un segnale «anti-Lega» più chiaro. Ad esempio tornando alla carica sulla soppressione delle provincie. Vanno invece difesi, come ha perorato Flavia Perina, gli investimenti «su cultura, università e ricerca».

Benedetto Della Vedova propone la trasformazione degli incentivi alle imprese in crediti di imposta: «In questo modo gli aiuti andranno solo a chi veramente produce reddito e paga le tasse». Infine no al blocco del turnover nella Pubblica amministrazione: «Solo a Roma ci sono 70mila precari, metà dei quali rischiano il posto: un prezzo elettoralmente troppo alto da pagare», spiega il romano Aldo Di Biagio.

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