Per passione guida aerei, per lavoro la Fondazione Arena di Verona. Il soprano Cecilia Gasdia è infatti sovrintendente e direttore artistico del più popolare festival d'opera al mondo: quello dell'Arena, manifestazione alla 99esima edizione e che per l'ultima stagione pre-pandemia vendette oltre 426mila biglietti, per un incasso di 26 milioni di euro e un giro d'affari di 500 milioni di euro in termini di ricadute sul territorio. Quest'anno si è partiti il 17 giugno per proseguire con un'infilata di opere, serate di canto e ballo, per un totale di 46 spettacoli e 100 artisti coinvolti.
Che cosa rappresenta Verona per Cecilia Gasdia?
«Qui sono nata e cresciuta, qui mi sono formata. A 20 anni sono andata Roma, poi in Toscana, nel frattempo in giro per il mondo ed ora eccomi di nuovo qui. Sono grata a questa città per il livello di formazione che mi ha assicurato, ho avuto docenti bravissimi, dalle scuole elementari al Conservatorio».
Dove si è diplomata, oltre che in canto, anche in pianoforte col sigillo della lode.
«Una lode sudatissima. Il programma dell'esame di diploma era estremamente ambizioso con tanto di Preludio Corale e Fuga di Franck».
Nel 1980 vinse il Concorso di Voci Maria Callas indetto dalla Rai. Aveva 20 anni tondi tondi.
«Già cantavo nel Coro dell'Arena, facevo musica da camera ed ero iscritta all'università. Tutto funzionava perfettamente, che altro chiedere? Il concorso cambiò il corso della mia vita, anzitutto portandomi a Roma poi nel mondo».
La sua prima volta all'Arena?
«A cinque anni, per Carmen. Solo più tardi realizzai che la protagonista era la grande Giulietta Simionato. Quel giorno compresi che la musica mi piaceva molto, e iniziai a studiarla. Dal 1976 al 1980 ho lavorato in Arena ogni sera d'estate, prima come comparsa e poi nel coro. Ho così respirato l'aria di questo teatro da subito. Confesso che è un qualcosa che ti rimane dentro, un po' come il mal d'Africa».
Lei è donna nordica con piglio mediterraneo, del resto nelle vene scorre sangue partenopeo.
«I miei nonni erano parte austriaci e parte napoletani. Alla mia nascita avevano già 75 anni però sono vissuti fino a 100 e così sono potuta crescere con loro. Hanno inciso profondamente sul mio percorso: quel mix asburgico-partenopeo che mi arriva da loro mi ha aiutato a coltivare una pluralità di vedute e un forte senso di indipendenza e autonomia di pensiero».
In tema di autonomia di pensiero. Sul palcoscenico dell'Arena artisti ucraini si avvicendano coi colleghi russi, come è sempre accaduto. Vi sono istituzioni, invece, che chiedono patenti morali e impongono aut aut agli artisti, o ti schieri o non canti
«L'arte crea ponti, non li distrugge. I cantanti e più in generale i musicisti parlano la stessa lingua: identica in tutto il mondo. Il rigo musicale e le note sono uguali a prescindere dagli Stati. L'arte non è politica. Io non chiedo a nessun artista quale sia la posizione politica. In Arena facciamo musica».
Ragion per cui la cantante ucraina Liudmyla Monastyrska si alternerà con la russa Anna Netrebko nel ruolo del titolo di Aida.
«Esatto».
Netrebko è il soprano numero uno al mondo. Nessuno era riuscito a portarla in Arena. Lei come l'ha convinta?
«Anna (Netrebko) ha conosciuto l'Arena da spettatrice, seguendo il marito, il tenore Yusif Eyvazov, che da noi canta da ormai nove anni. Questo l'ha aiutata a capire la particolarità del teatro. Nel 2019, una volta sul palcoscenico, mi confessò di aver provato un'emozione fortissima. Qualsiasi cosa facciate, ci sarò disse. Ovviamente ho preso la palla al balzo».
Da quando è direttore artistico e sovrintendente, sono cambiati i cast. Sta riportando i grandi nomi.
«Vero, abbiamo in cartellone tante stelle però anche tanti giovani, e promuoverli è la parte più difficile e rischiosa del mio mestiere».
In compenso
«È esaltante perché mi spinge a cercare i nuovi talenti, a investire su di loro, a sostenerli. Questo è senz'altro uno degli aspetti dell'attività che trovo particolarmente galvanizzante».
L'anno scorso avete avuto 42 serate di cui 30 sold out, con 15 milioni di incassi a capienza ridotta. Quest'anno l'Arena torna ai suoi 13mila posti. Quindi a cosa puntate?
«Non dico a replicare ma almeno ad avvicinarci ai numeri del 2019. In troppi teatri italiani la biglietteria incide poco sul bilancio, spesso si viaggia intorno al 10%».
Il botteghino quanto vale in Arena?
«Supera il 50% del bilancio».
Che rapporto ha con la fatica e con il sacrificio?
«Sono piuttosto sportiva, lo sono da sempre. A tre anni i miei zii maestri di sci mi insegnarono questo sport, poi iniziai a fare atletica, ginnastica e in particolare le parallele: tutte attività con allenamenti sfidanti e che sviluppano la resistenza fisica. Forse per questo anche oggi difficilmente avverto la fatica. Aggiungo che frequentare in contemporanea il liceo classico e il Conservatorio è stata poi una bella palestra per aumentare la resistenza mentale, senza contare che disporre di poco tempo mi ha reso veloce nel prendere le decisioni».
Vola ancora?
«Non ultimamente, però. Ahimè, il tempo è sempre troppo poco, mi manca. Il volo è sempre stata la mia passione, al punto che finito il liceo volevo entrare in aeronautica. Salvo scoprire che allora, stiamo parlando del 1979, le porte a noi donne erano ancora sbarrate. Però quella passione era rimasta viva, così a 41 anni mi sono presa il brevetto di volo».
Pilotare aerei cosa insegna a un cantante?
«A dividere il cervello in mille parti, a fare più cose in contemporanea e sono così tante che pensi sia impossibile spuntarla. Poi ti eserciti e vedi che sono operazioni realizzabili».
Anni di vita da soprano come influiscono sulle modalità di relazione di lei sovrintendente con i colleghi artisti?
«Anni spesi a cantare tutti i giorni fanno comprendere nei minimi dettagli la tipologia di una carriera come questa. Per me è naturale stare al fianco degli artisti che scritturo, esprimere loro la mia vicinanza. Sanno che io sono presente, anche come amica».
Quali le gioie e quali i dolori della carriera di cantante lirico?
«La gioia consiste nel portare in fondo la recita, nell'essere poi ripagati dalla reazione del pubblico. I dolori stanno tutti nell'attesa. Il cantante vive perennemente aspettando di andare in scena. È un'esistenza di attese e di incognite perché ogni sera devi riprodurre con le tue corde vocali i grandi capolavori, le opere di geni, e tutto questo davanti a un pubblico sempre nuovo».
Per sfondare non basta una bella voce. Cosa vera ieri come oggi, oggi però ancora di più: condivide?
«Ci sono aspetti di base validi per tutti a prescindere dalla fase storica. Si parte dalla voce in dotazione dalla nascita e che ci distingue dagli altri per colore e caratteristiche proprie. Appurata l'esistenza di questo dono, lo devi coltivare musicalmente e tecnicamente, il che implica studio intelligente e perenne. Poi devi avere una personalità che ti consenta di affrontare il pubblico e il suo giudizio. È indispensabile una salute di ferro perché il nostro strumento è il corpo stesso e deve essere sempre performante nonostante si giri il mondo passando dal caldo al freddo, e con diversi fusi orari. Oggi più di ieri entra in campo un discorso di comunicazione, di gestione dei social che ormai diffondono giudizi che prima erano esclusivo appannaggio dei critici. Detto questo, al di là della capacità di comunicare, il verdetto finale spetta al pubblico: è lui a stabilire il successo o no di una serata».
Il successo come si traduce?
«È il teatro che si ferma per esprimere il suo apprezzamento».
Che raccomandazioni fa ai giovani cantanti?
«Mai perdere la bussola».
Ha una figlia soprano come lei, Anastasia. È una benedizione o una dannazione fare lo stesso mestiere?
«Una benedizione. A dire il vero, Anastasia si è avvicinata tardi alla lirica, aveva già 23 anni. Fin da bimba ha studiato musica, quindi canto jazz ma non lirico. Davo per scontato che non avrebbe seguito le mie orme dal momento che ho sempre portato con me le mie due figlie durante le mie tournée. Hanno visto in diretta quanto sia faticoso questo lavoro. Evidentemente ha prevalso la passione per il canto, Anastasia ha iniziato a fare vocalizzi, e via via a studiare».
Qual è l'aria del cuore di Cecilia Gasdia?
«Fossi nata tenore sarei stata la persona più felice. Le mie arie predilette sono quelle del tenore. Direi tutte le arie tenorili di Manon Lescaut di Puccini, in testa Donna non vidi mai».
Quando siede al pianoforte cosa suona?
«Di tutto. A volte i vecchi pezzi del diploma. Passo da Jeux d'eau di Ravel a Franck, alla Partita in do minore di Bach. Poi le Invenzioni a due e a tre voci di Bach. Continuo a ripetere Bach. A conti fatti, pensandoci bene, è il compositore che eseguo più di tutti».
Chi è Giuseppe Verdi?
«Solo il destino, che già tutto scrive, può giustificare l'esistenza di un uomo di quella statura cresciuto fra pianure nebbiose. Difficile spiegarsi come uomo con un'esistenza macchiata da continue tragedie, dalla morte della giovane moglie a quella dei figli, sia riuscito a scrivere quella mole di capolavori. Tutto era già nella testa evidentemente. Verdi è un dono del genere umano».
E Rossini?
«Un altro grande la cui grandezza ha poi contribuito alla fortuna di Verdi. Perché ogni scritto di Rossini ha aiutato a fare un passo avanti».
Una volta la lirica era pop. Oggi è chic. Tornerà mai ad essere popolare? Lo chiediamo a chi dirige il festival d'opera più popolare che vi sia.
«In effetti il nostro pubblico è molto vario, con una buona presenza di chi non frequenta abitualmente i teatri d'opera. E la cosa più interessante è vedere che quando un artista è in forma smagliante e canta bene, il pubblico lo comprende anche se non ha competenze specifiche. Il pubblico esplode all'unisono nei momenti più riusciti. E questo la dice lunga sul fatto che l'opera solo apparentemente è chic, in realtà è molto popolare, fa parte del nostro corredo cromosomico».
Ragion per cui l'arte del canto lirico è candidata nella lista Unesco del patrimonio immateriale dell'umanità
«È un qualcosa di miracoloso, ha un effetto speciale e travolgente sul pubblico, e questo accade da secoli. È un qualcosa che è difficile da spiegare. Io mi sono spesa in prima persona per questa candidatura perché dobbiamo sensibilizzare sul tema».
Annoso discorso: bisognerebbe partire dalle scuole.
«Aggiungo: dalle scuole materne. I bambini dovrebbero conoscere e cantare subito queste belle arie affrontando la lirica in modo ludico».
Voi artisti avete un ricco repertorio di aneddoti. Ce ne racconti uno.
«Questo non è legato alla mia carriera da solista, ma da corista nel Coro dell'Arena. Uno dei miei primi ricordi. Alla fine degli anni Settanta andammo a Berlino.
Una volta in città, con altri colleghi organizzammo una visita alla parte Est, ma al momento di partire tutti rinunciarono. Io decisi di andare comunque per conto mio. La ricordo come un'esperienza incredibile, sentivo il cuore battere, ho ancora negli occhi le guardie russe che mi squadrano severe».
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