Erica Orsini
da Londra
«Me ne andrò entro un anno». Rifiuta ancora di dire la data esatta Tony Blair, all'indomani del suo giorno più funesto, ma ormai questa sua testardaggine ha il sapore di una ripicca infantile.
La rivolta interna scatenatasi nelle ultime 48 ore culminata con le dimissioni di un sottosegretario alla Difesa e sei assistenti ministeriali non gli ha lasciato scelta. Per evitare che i suoi stessi colleghi di partito chiedessero la sua testa già alla conferenza annuale laburista di fine settembre, ha dovuto presentare quella che ieri il quotidiano londinese The Evening Standard ha chiamato la sua offerta di pace. Il giornale preannuncia una data - il 4 maggio prossimo - diversa da quella rivelata un paio di giorni fa dal Sun che però non è stata confermata dall'annuncio di Blair. «Non voglio decidere una data esatta ora - ha detto infatti ieri il primo ministro inglese in un discorso registrato per la stampa in una scuola londinese - non penso sia giusto. Lo farò in futuro e lo farò nell'interesse del Paese». Apparentemente rilassato, Blair si è scusato con il pubblico per la condotta mostrata dal suo partito durante quest'ultima settimana. «Per essere franco, non sono state le nostre ore migliori», ha detto a denti stretti riuscendo persino a scherzare su quanto sarà costretto a fare nei prossimi mesi.
«Avrei preferito agire alla mia maniera invece la prossima conferenza annuale sarà l'ultima a cui presenzierò come leader del partito. Il prossimo congresso dei sindacati nazionali sarà il mio ultimo congresso. E probabilmente sarà un sollievo sia per me che per voi», ha commentato rivolgendosi ai giornalisti. Il leader laburista ha sottolineato come la gente del suo partito debba rendersi conto che sono gli elettori e la Gran Bretagna ad avere la priorità. «Non possiamo trattare il nostro Paese come un semplice spettatore del tutto irrilevante in una questione così significativa come le dimissioni del primo ministro - ha spiegato Blair - e perciò voglio ancora scusarmi per il comportamento del Labour. Con tutto quello che accade nel mondo, non sono stati i nostri momenti migliori».
L'annuncio di Blair è arrivato alle tre del pomeriggio, soltanto un'ora dopo che il Cancelliere Gordon Brown da Glasgow aveva fatto sapere che avrebbe supportato qualunque decisione avesse preso il premier. «Vorrei che fosse chiaro a tutti - aveva spiegato Brown - che quando ho incontrato il primo ministro ieri gli ho ripetuto quello che gli avevo detto già in altre occasioni. È lui a prendere una decisione, io gli rimarrò a fianco e questa scelta non deve dipendere da accordi privati, ma dall'interesse collettivo». Un campione di correttezza l'eterno secondo di Downing Street, almeno questo è quello che mister Brown vorrebbe dare ad intendere. Ma i giornalisti hanno le loro fonti ed orecchie lunghe e, se non bastasse, il linguaggio del corpo del braccio destro di Blair parla - soprattutto in questi giorni - molto chiaramente. I larghi sorrisi nei momenti più bui, i sorrisi tirati di circostanza durante i discorsi ufficiali di Blair e quell'ostinato rifiuto a guardarlo diritto negli occhi, spiegano meglio di qualunque parola quali siano i veri sentimenti del Cancelliere rimasto in attesa del suo momento per troppo tempo. Ieri il quotidiano riformista The Guardian raccontava nei dettagli gli scontri furiosi che sarebbero avvenuti tra i due nei giorni scorsi e che alla fine avrebbero costretto il primo ministro a gettare, almeno parzialmente, la spugna accettando così di andarsene nei prossimi dodici mesi.
Secondo il giornale, infatti, laltra notte Brown e Blair avrebbero avuto una discussione furiosa al termine della quale Tony sarebbe arrivato ad accusare Gordon di ricattarlo. Alla fine la decisione di lasciare nel 2007 è stato il massimo che Brown è riuscito ad ottenere. Forse non abbastanza per lui, dato che pare avesse chiesto a Blair di sgomberare la scrivania già a Natale.
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