«Resto o no?» I travagli dell’allenator Tentenna

Chissà se tra gli studi effettuati da Leonardo Nascimento de Araújo, fuori dall’aula di Coverciano, c’è stato il tempo per soffermarsi sulla figura di Carlo Alberto, figlio di Carlo Emanuele I e di Maria Cristina di Sassonia, sesto principe di Carignano, passato alla storia come Re Tentenna a causa del suo ondeggiare tra un modello di costituzione e l’altro. Avrebbe scoperto, per esempio, che Mazzini lo aveva ribattezzato «l’Amleto della monarchia» e che Giosuè Carducci gli aveva cambiato nome, «Italo Amleto». Di sicuro Leonardo deve avere una qualche affinità elettiva col Re tentenna. In tempi non sospetti, con Ancelotti sulla panchina del Milan e lui nella stanza accanto a quella di Galliani (attualmente occupata da Barbara Berlusconi), il brasiliano poliglotta non coltivò il seme del dubbio. «Io non sono fatto per fare l’allenatore, il mio mestiere è dietro una scrivania» dichiarò in pubblico e in privato fino a quando il prode Carletto non staccò il biglietto aereo per Londra e tutto il Milan lo investì della tormentata successione, mettendogli sulle spalle anche la cessione di Kakà da subire con cristiana rassegnazione.
Quella certezza, «mi sento dirigente non allenatore», più volte declinata vacillò dinanzi alle prime ondate finite contro il fragile vascello brasiliano e rappresentate da qualche rilievo critico del presidente Silvio Berlusconi. «Guardate che con me, dopo 13 anni di Milan, basta una parola e sciogliamo subito il contratto» spiegò in una conferenza-stampa delle sue sfuggite alla tentazione romantica di richiami letterari o di citazione di qualche verso di canzone. Sicché quando il rapporto col Milan si consumò, fu proprio Leonardo a parlare del proprio futuro e della propria inclinazione. «Io mi sento dirigente, non farò l’allenatore prossimamente» promise ricevendo l’ammirata solidarietà della curva rossonera. Ma il pendolo di casa Leonardo, dopo qualche settimana, tornò a mettersi in azione e di quella promessa pubblica e solenne non rimase che una traccia negli archivi di giornali e tv. Perché qualche ora prima della notte santa di Natale andò a casa di Massimo Moratti e firmò per tornare a fare l’allenatore, questa volta dell’Inter suscitando l’ira funesta del popolo rossonero. «Ma non aveva detto che avrebbe fatto il dirigente?» gli chiesero confusi i cronisti di Appiano. E lui netto rispose: «Mi sento allenatore al 100%» facendo felici le truppe nerazzurre che l’accolsero con affetto, riconoscendolo seguace di Mourinho e tributandogli il merito d’aver liberato lo spogliatoio «dal grassone di Liverpool», Rafa Benitez.

Adesso Leonardo è tornato ancora all’antico amore, alla scrivania con vista su Parigi dove transitò da calciatore prima di trasferirsi a Milanello. Speriamo che sia la volta buona. E che non ci parli più di sogni. Arrivederci caro signor tentenna della panchina.

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