La revisione del catasto si abbatte sulle case

Il vicepremier Rutelli fa finta di niente e prova a rassicurare sugli effetti della promessa detrazione da 290 euro

da Roma

«Le amministrazioni non ci rimetteranno un centesimo, semmai vedranno una parte dei loro cittadini più contenti». In quel di Bari il vicepremier Francesco Rutelli ha voluto rassicurare i sindaci radunati nell’assemblea dell’Anci sottolineando «il carattere sociale di questa riforma in itinere», iniziata con l’approvazione dalla commissione Finanze della Camera giovedì scorso di un emendamento al ddl sulle rendite finanziarie.
In realtà, l’ansia del leader della Margherita di mettere la propria bandierina sugli sgravi Ici ha fatto passare in secondo piano la revisione degli estimi catastali che potrebbe annullare, di fatto, l’impatto delle detrazioni d’imposta. Ma andiamo con ordine: il nuovo articolo 4-bis del disegno di legge presentato dal ministro Padoa-Schioppa lo scorso ottobre delega il governo a emanare entro dodici mesi dall’entrata in vigore della norma un decreto legislativo che innalzi a 290 euro dagli attuali 103 la detrazione dell’Ici sulla prima casa (o dell’Irpef per chi vive in affitto).
Il vero esentato, però, sarà lo Stato, che non pagherà l’Ici sugli immobili degli enti sfitti e inagibili a fronte della dichiarazione di inizio lavori finalizzata alla loro reimmissione sul mercato degli alloggi. Il decreto, però, potrà essere emanato «solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie». E con il tesoretto già svanito i tagli dovranno essere finanziati in altro modo, pena l’aggiunta di un altro capitolo al libro dei sogni del centrosinistra.
Il problema di fondo è però un altro. È l’articolo 4, ovvero la delega al governo a preparare entro tre anni dall’approvazione del ddl uno o più decreti per la riforma del catasto con «determinazione degli estimi su base patrimoniale». È qui che il sogno degli sgravi si trasforma in un incubo per il contribuente. Attualmente le imposte sugli immobili si basano sulla stima di rendimento dei fabbricati. Spostare l’obiettivo sul livello patrimoniale con la «segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare» e con l’utilizzo del parametro «metro quadrato» significa tassare il valore effettivo degli immobili.
Secondo una simulazione dell’Ufficio studi di Confedilizia, l’associazione dei proprietari immobiliari, una prima casa di 100 metri quadrati con una rendita catastale di 1.000 euro è soggetta a 397 euro di Ici al 5 per mille (con detrazione di 103 euro). Se si riprogrammasse l’imposizione sul valore di mercato (stimato a 300mila euro) e adottando i coefficienti in vigore (1% sulla prima casa), si otterrebbe una rendita di 3mila euro soggetta a un Ici al 5 per mille di 1.397 euro. Si tratta di mille euro in più sui quali una detrazione di 290 euro avrebbe un effetto puramente palliativo.
Andrebbe sicuramente peggio a coloro che, oltre alla prima, dispongono di una seconda abitazione con le stesse caratteristiche (100 metri quadrati). Tra Ici al 7 per mille e Irpef al 39% il prelievo aumenta di ben 2.441 euro da 1.219 a 3.660 euro. Salvo le addizionali.
Va detto che l’articolo 4 prevede tanto la sostanziale invarianza del gettito quanto una previsione di una franchigia sulle prime case «per esentare, anche gradualmente, i primi 150 metri quadrati di superficie». Ma, come recita il comma, «successivamente alla completa realizzazione della riforma»: una formula che, unita al termine «previsione», fa pensare più a un’ipotesi che a una determinata volontà del legislatore. Nel frattempo potrebbe verificarsi un paradosso. In alcune città la revisione degli estimi potrebbe determinare incrementi percentuali dell’imposta più elevati nelle periferie che nelle zone centrali. Con buona pace di coloro che cercano di sfuggire ai prezzi elevati degli immobili nelle downtown di Milano, Roma e Napoli.


Il testo licenziato dalla commissione giovedì scorso approderà in Aula il 29 giugno prossimo. Nel frattempo il Senato inizierà a studiarlo per evitare la «navetta», ossia il rimpallo fra le due Camere in seguito alle modifiche di un ramo del Parlamento. E anche per evitare impreviste crisi di governo.

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