Riforma, ora l’intesa è più vicina Ma a sinistra si prepara la fronda

RomaSul Colle, pranzo di Natale con vista sui giardini. Niente tacchini e nemmeno un panettone, eppure sulla tavola che Giorgio Napolitano fa imbandire per Silvio Berlusconi e un folto gruppo di ministri al seguito, oltre alle verdurine coltivate nella tenuta di Castel Porziano, c’è un vero piatto forte, la riforma della giustizia. Il Pdl la chiede da tempo, lo scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro la sta forse accelerando e il Quirinale sembra d’accordo: i tempi sono maturi. Una sola avvertenza. «Dovete coinvolgere il Pd», spiega il capo dello Stato. Il Cavaliere annuisce: «Noi vogliamo il dialogo, è Veltroni che sembra indeciso, condizionato. E poi, presidente, hai visto come i giornali e le televisioni continuano ad attaccarmi?». «Caro Silvio - risponde il capo dello Stato - non ti angustiare. Fai come me. Io le tv e i giornali ormai non li guardo più».
Insomma, nonostante tutto il clima migliora e i poli cominciano prudentemente ad annusarsi. Tocca a Gianfranco Fini, in mattinata, rilanciare la palla. «È necessaria una riforma che abbia un obbiettivo condiviso, che tra l’altro è auspicato da tutte le forze politiche: l’efficienza del sistema giudiziario». Dunque, per il presidente della Camera l’intesa è possibile: «Al di là delle ricorrenti polemiche e strumentalizzazioni, è innegabile che la durata dei processi precluda la tutela dei diritti dei cittadini. È inaccettabile. In quest’ottica, ferma restando l’indipendenza e l’autonomia, è doveroso riflettere anche sull’assetto della magistratura».
Questo punto, la separazione delle funzioni o delle carriere, è il vero nodo di tutto. Sul resto il Pd non sembra avere molte contrarietà. «La riforma si può, si deve fare in due mesi - dice Walter Veltroni - ma senza costrizioni». «La nostra disponibilità al dialogo - dice Anna Finocchiaro - è condizionata a due cose. Che non venga toccata la Costituzione e che si assicurino celerità e affidabilità ai processi». E Paolo Gentiloni: «Se si affrontassero i due grandi temi, la durata dei procedimenti e la certezza delle pene, noi saremmo pronti». Però, aggiunge, «non vorremmo che fosse solo un’altra puntata della telenovela del conflitto tra Berlusconi e la magistratura». «Gentiloni di telenovele se ne intende - replica Paolo Bonaiuti - , vista la sua partecipazione a quella sull’Iva per Sky».
Scaramucce? O distanze incolmabili? Renato Schifani, presidente del Senato, invita le parti «ad avvicinarsi per una riforma condivisa». E Angelino Alfano assicura che non c’è nessun blitz in vista. «Noi non procederemo con un intervento improvvisato - dice a Porta a Porta -, anzi ne parleremo prima con l’Anm e l’opposizione. Il nostro obbiettivo è il confronto costruttivo, perciò io ho molto apprezzato chi, come Casini e D’Alema, si è detto pronto a una riforma della giustizia perché la considera urgente, come dimostra anche la vicenda De Magistris». Poi, entrando nel merito: «Rivedere i poteri del pm non significa tagliare le unghie ai magistrati. Non c’è nulla di male nel far sì che l’attività della ricerca della notizia sia affidata ai professionisti, la polizia giudiziaria, senza ovviamente escludere il pubblico ministero, che resta il titolare dell’azione penale».
Rimangono molte difficoltà. L’Anm che non vuole cedere sul coordinamento delle indagini. «Se c’è una cosa che va bene - afferma Luca Palamara - è il rapporto pg-pm».

, Di Pietro che parla di «inciucio». Il Pd che non si fida. E la Lega che vuole prima il federalismo fiscale. «Non si possono fare due riforme insieme», sostiene Umberto Bossi. Ma per Fabrizio Cicchitto «le due cose non sono in alternativa».

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