Rischio astensione nel Vecchio continente

Secondo i sondaggi appena il 28% degli elettori è sicuro di andare ai seggi. Pesano la scarsa fiducia in Bruxelles e la crisi economica. In Parlamento il nuovo gruppo conservatore-euroscettico rischia di togliere peso ai popolari

Rischio astensione nel Vecchio continente

A tendere l’orecchio, dando ascolto ai venticelli che soffiano sul Vecchio continente, si direbbe che a uscire con le ossa rotte dalle prossime elezioni europee sarà anzitutto l’Europa. Come idea, ancor prima che come istituzione. Con il timore che quel 45% di votanti della scorsa consultazione possa scendere ancora, come paventa l’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro, che dà gli intenzionati a votare fermi ad appena il 28%. Non è quindi un caso che siano stati i leader dei Paesi guida, Germania e Francia, ovvero frau Angela Merkel e monsieur Nicolas Sarkozy, a spendersi in prima persona giorni fa, invitando tutti i cittadini dell’Unione a recarsi alle urne. Segnali arrivano del resto anche da dentro casa loro e non possono che rafforzarsi in un giorno come ieri, con Eurostat che annuncia il crollo del 4,8% del pil nella zona euro.

Iniziando dalla Germania (la più colpita, meno 3,8% del pil), pare infatti che i tedeschi siano ben più preoccupati dalla situazione in cui versano marchi storici come Opel e il gigante della distribuzione Arcandor, che non dalla composizione del futuro europarlamento. Lo confermano le poche pagine dedicate dai giornali all’argomento e gli ancor più rari manifesti apparsi sui muri. Pare che i tedeschi, semmai, attendano un’indicazione per il loro voto nazionale del 27 settembre. Così, nonostante alle europee prendano parte due pesi massimi della scena comunitaria - il presidente dell’europarlamento Hans-Gert Poettering (Cdu) e il capogruppo socialista Martin Schulz (Spd), non è improbabile che la partecipazione al voto sia inferiore a quella già molto bassa del 2004, quando fu del 43%. Resta il fatto che i cristiano-democratici continuano a mantenersi in ampio vantaggio, con un 35% che abbinato al 15% dei liberali, porterebbe la loro coalizione al 50%, in vantaggio di 5 punti rispetto alle sinistre (Spd, Verdi e Linke).

Più o meno lo stesso distacco (4,5%) su cui dovrebbe contare oltralpe l’Ump nei confronti dei socialisti. «La droite ne connait pas la crise en France», ammette infatti un giornale di sinistra come Liberation. Fotografando così la bizzarra situazione per cui il Sarkozy-capopartito è dato certamente per vincente nonostante allo stesso tempo il Sarkozy-presidente si trovi a fronteggiare un massiccio blocco di oppositori. Anche in Francia, comunque, è il partito degli astenuti quello dato come vincente, con una percentuale attorno al 55%.

Anche in Spagna, tutti i pareri sembrano convenire su un punto: la fine della luna di miele tra l’elettorato e il premier socialista José Louis Rodriguez Zapatero. Infatti, più che a una crescita di voti del conservatore Partito popular, dato in aumento dell’1 e qualcosa per cento, ci si attende un autentico crollo dei socialisti, calcolabile in quasi sei punti percentuali.

Passando oltre Manica (dove si vota anche per le amministrative), non è certo una sorpresa scoprire che anche qui l’euroscetticismo - o vera eurofobia? - la farà da padrone. Così com’è altrettanto sicuro che dopo la tempesta di scandali che ha sconvolto il governo di Gordon Brown - ormai a quota quattro ministri dimessi - ora i laburisti (hanno perso 10 punti in un mese) dovranno guardarsi anche dal Partito liberademocratico, quello che qui era sempre stato considerato unicamente come la «terza forza». Riposano invece tranquilli, seduti su un vantaggio del 22%, i tory di David Cameron. Il quale ha annunciato che dopo le elezioni darà vita a Strasburgo a un nuovo gruppo conservatore ed euroscettico in un’alleanza con il Partito civico democratico dell’ex premier ceco Mirek Topolanek e con il Pis (Legge e ordine) dell’ex premier polacco Jaroslaw Kaczynski.

Annuncio che porta sconcerto più tra i moderati che a sinistra, dato che il nuovo gruppo - conti alla mano - potrebbe togliere fino a 60 eurodeputati al raggruppamento cristiano-democratico (Ppe-De), se non addirittura anche il primato nell’europarlamento.

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