Riscoprire Bourget dopo cent’anni

"I nostri atti ci seguono", un romanzo sulla responsabilità: quando il peso del passato sembra schiacciare ma viene alleggerito dal tentativo di volgere il male in bene

Se il bel libro si vede dal titolo, «I nostri atti ci seguono» è un capolavoro della letteratura mondiale. Che i nostri atti ci seguano, le personalità geniali lo scoprono assieme all’uso della ragione, mentre tutti gli altri cominciano a capirlo svoltata la soglia dei quarant’anni, quando – guardando al futuro, cioè al tempo che resta - si fanno sempre meno progetti e sempre più bilanci, e il peso di quello che si è vissuto si rivela gravoso. L’accademico di Francia Paul Bourget è uno scrittore di cent’anni fa oggi dimenticato ma primattore della vita culturale dei suoi tempi, assieme a Zola e Gide. Visse a cavallo tra Ottocento e Novecento e in questo romanzo, l’ultimo che scrisse, attraverso il racconto degli «atti» dei protagonisti sembra caricarsi del peso di un futuro che intuisce sarà insostenibile. Nelle sue opere c’è un oggetto di attenzione ricorrente: la responsabilità. Quello che ci fa compiere una certa azione, un «atto» appunto, al di là dei fattori storici, delle circostanze sociali, della mentalità dominante. La responsabilità è sempre seguita dal desiderio di riparare agli errori compiuti, cioè dal tentativo di volgere il male in bene.

Affiorano le grandi domande della vita: sono fatto per il bene, ma come posso fare il bene se il mio passato – lontano o vicino – è un susseguirsi di armadi pieni di scheletri? «I nostri atti ci seguono» non dà risposte esplicite, semmai approfondisce gli interrogativi attraverso il dipanarsi della trama (una grande storia d’amore di inizio ‘900) e lo scavo psicologico dei personaggi. E’ allo stesso tempo un romanzo storico e un romanzo di idee, che merita di essere disseppellito dal dimenticatoio.

Paul Bourget, «I nostri atti ci seguono», Bur Rizzoli 1995 (stefano.filippi@ilgiornale.it)

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