Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
La smentita è secca, in stile militare. Anche perché è affidata ai militari. Il comando americano a Bagdad ha definito «completamente false le indiscrezioni rilanciate ieri da due quotidiani di Londra, secondo cui i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero deciso in privato, contrariamente alle ripetute dichiarazioni pubbliche, di fissare una data per il ritiro completo delle truppe dallIrak. In particolare, secondo il Sunday Telegraph, il rientro, e cioè la fine della spedizione militare, dovrebbe accadere nel 2007, anzi «entro dodici mesi», con la precisazione che esso sarebbe «graduale, anche se il grosso dei ritiri dovrebbe avvenire «allinizio dellanno prossimo».
«Il calendario è completamente sbagliato - ha replicato il colonnello Barry Johnson -: come abbiamo detto e ridetto, la data del rimpatrio delle truppe alleate dipenderà dalla capacità delle forze di sicurezza irachene di mantenere lordine su incarico di un governo iracheno rappresentativo che rispetti i diritti di tutti i suoi cittadini. Questa posizione rimane valida e non è legata ad alcuna data particolare». Il comunicato non fa riferimenti specifici, ma è evidente il collegamento con le pressioni in corso da parte soprattutto di Washington per le dimissioni del primo ministro Al Jafari. Questo passo è visto come necessario per indurre i diversi partiti ad accordarsi per formare un governo di unità nazionale, unico freno alla minaccia di una guerra civile.
È possibile che le indiscrezioni (ivi compresa la smentita) facciano parte di unopera di convincimento nei confronti di Jafari e del suo partito sciita, per metterlo di fronte alle sue responsabilità. I dettagli del piano di ritiro prevedono che già «nei mesi prossimi» i soldati alleati cessino di effettuare operazioni di pattuglia e rimangano dentro le loro basi per uscirne solo «in casi di emergenza». Soprattutto da parte britannica matura la convinzione che «in questo momento la nostra presenza non rappresenta una soluzione ma è parte del problema. Ci guardano come una forza di occupazione anche se legalmente ora siamo in Irak su invito del governo». «Rischiamo - è scritto nel rapporto pubblicato dal Telegraph - di diventare un ostacolo alla pace per cui operiamo».
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