La rivolta in Libia non è certo la caduta del Muro

Caro Granzotto, la sinistra paragona le rivolte del Nord Africa alla caduta del Muro, ignorando dolosamente che non c’è nulla di democratico nelle sollevazioni popolari, manipolate ad arte da minoranze tribali che mirano a sostituirsi agli attuali regimi. D’Alema & Co. cavalcano pericolosamente l’onda migratoria, puntando a creare il caos nel nostro Paese per poi attaccare il governo e accusarlo di incapacità. È scandaloso che il Capo dello Stato non rivolga un appello alle forze politiche per mettere da parte gli opportunismi, affrontando in maniera unitaria un’emergenza che rischia di travolgere i già precari equilibri socio-economici italiani. L’Ue dovrebbe presidiare le coste africane impedendo le partenze dei clandestini e valutando in loco a chi vada riconosciuto lo status di rifugiato politico.
Fano (PU)

E sì che abbiamo un capo dello Stato che di sollevazioni popolari se ne intende assai, caro Melis. Egli era nel fior fiore della maturità politica e intellettuale quando ebbe a giudicare i fatti di Ungheria. Pochi hanno dimenticato le appassionate parole che pronunciò alla Camera: «Senza vedere che... l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss, ma a salvare la pace nel mondo». In quell’occasione, il compito assegnato al giovane dirigente del Pci fu di fare a pezzi il compagno Giovanni Giolitti il quale, stomacato dall’intervento dei carri armati sovietici a Budapest, aveva lasciato il partito sbattendo la porta. Napolitano lo fece e molto bene, attenendosi ai plumbei canoni dialettici stalinisti. Mi sembra opportuno aggiungere che quando, nel febbraio del 2010, Giolitti passò a miglior vita, lo stesso Napolitano che di Giolitti fu il Vishinskij, il famigerato pubblico ministero delle grandi purghe staliniane, ne volle ricordare, oltre che la levatura culturale e morale, anche la «schietta amicizia» che li aveva legati. Mah.
Le sollevazioni popolari, caro Melis, sono sempre a double face. Per Napolitano quella d’Ungheria era animata da una banda di «provocatori» e di «teppisti». Quella in Cirenaica, da sinceri democratici anelanti alla libertà e alla dignità dell’individuo. È evidente che gli stessi criteri valgono per il giudizio di parte liberale (e per i liberali, per i democratici la rivolta ungherese aveva connotati opposti a quelli illustrati dal comunista Napolitano). In questo immutabile gioco ideologico delle parti che contempla anche le tardive resipiscenze, sarebbe dunque buona norma, prima di scendere in campo e partire in quarta coi bombardamenti, capire da che parte sta chi e, soprattutto, cosa muova i rivoltosi. Ed è quello che poi sommessamente predicava Silvio Berlusconi. A tutt’oggi non abbiamo nessuna garanzia che il fronte bengasino miri alle libere elezioni, alla democrazia compiuta, alla Costituzione e al rispetto dei diritti umani, e non fa certo fede il fatto che a sollevarsi sia stata “la piazza”, la quale non è necessariamente illuminata dallo spirito santo democratico. Dei rivoltosi libici non si sa nemmeno chi siano i capi.

Mentre si fa sempre più strada l’ipotesi che la rivolta sia di marca secessionista, piuttosto che beneficamente e virtuosamente rivoluzionaria. Si intravvede all’orizzonte, insomma, un Gheddafino bis. E, onestamente, al mondo ne basta uno.
Paolo Granzotto

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