Dalla rivoluzione alla poltrona: rissa fra grillini per un seggio

Diceva Giovanni Giolitti che «il miglior sedativo per le smanie rivoluzionarie consiste in una poltrona ministeriale, che trasforma un insorto in un burocrate». Ai ribelli di Beppe Grillo è bastato un seggio in consiglio regionale. «Nel movimento a Cinque stelle, a differenza di ciò che accade nei partiti, non vi è nessuna corsa alle poltrone» era il biglietto da visita del candidato alla presidenza dell’Emilia Romagna Giovanni Favia. E invece, potenza di quel 7 per cento che ha fruttato due posti nell’assemblea regionale, è finita con la lista di Beppe Grillo avvitata in un meccanismo di ferocia burocratica, e con i grillini ad accusare: «Siamo come tutti gli altri partiti».
È successo che Favia, candidato alla presidenza ma anche nei listini provinciali di Bologna e Modena, sia stato eletto in entrambi i collegi, nel primo con 9.300 preferenze e nel secondo con 2.500. Il che gli imponeva di optare per uno dei due, liberando un posto a uno dei candidati risultati primi fra i non eletti, Andrea De Franceschi a Bologna oppure Sandra Poppi a Modena. Scelta non difficile, per uno che alla vigilia del voto dichiarava fiero: «Rispetteremo l’indicazione delle preferenze». Chiaro che avrebbe dovuto scegliere Bologna, e cioè la provincia che con maggiore convinzione lo aveva sostenuto. Tanto più che così avrebbe lasciato il seggio alla Poppi, che a Modena ha raccolto 717 voti, il doppio dei 376 di De Franceschi. Sarebbe stata la quadra perfetta, e invece. Sul più bello, Favia non se l’è sentita. «Di scegliere in modo unilaterale privatizzando la decisione» ha detto lui con mano sul cuore. «Di far fuori il tuo braccio destro» ha ringhiato una parte del movimento sul piede di guerra.
Come che sia, ecco la soluzione: il movimento ha indetto «elezioni secondarie», che in una nota ha definito «strategia innovativa, rivoluzionaria nell’ottica della trasparenza e della democrazia» e insomma roba da far impallidire le primarie del Pd, l’avanguardia della partecipazione. La decisione è stata affidata a 40 delegati, tutti candidati a consigliere regionale e perciò titolati a esprimersi «con voto libero, segreto e secondo coscienza» in quanto «grandi elettori» del movimento e quindi in ultima analisi «saggi».
Le previsioni in Rete non lasciavano spazio a dubbi: la Poppi è favorita, ovvio. Le aspettative erano altissime: «Se Sandra non andasse in Regione anche questo movimento sarebbe come tutti gli altri partiti, facciamo valere il voto dei cittadini» si leggeva sui blog. Macché. All’assemblea in 31 hanno scritto il nome di De Franceschi. Immediata la rivolta sul web contro «la politica del già visto». Con i grillini a demolire lo slogan di Beppe, «ognuno vale uno»: «Si sono fatte le primarie dopo il voto, complimenti. Ognuno vale uno, ma decide sempre qualcuno, tutti gli altri son nessuno, sicuri che vogliamo cambiare in meglio la politica?». E contro l’orwelliano «qualcuno è più uguale degli altri», dalla fattoria a Cinque stelle è partito pure un accorato appello a Grillo, con Vittorio Ballestrazzi, ex Verde capogruppo nel Comune di Modena, a chiedergli di intervenire perché «qui è successo l’inimmaginabile e il movimento così muore prima di nascere».
Lui ancora non ha proferito Verbo, magari lo farà al ritorno dalle bianche sabbie di Malindi.

Nell’attesa ci ha pensato Favia a rispondere: «Ballestrazzi può sempre tornarsene da dove è venuto, cioè un partito». Del resto, per dirla con Winston Churchill: «La democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato».

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